Bonomi Carla, “L’incantesimo della chitarra”

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*Al fine di migliorare la “qualità” delle nostre relazioni sonoro-musicali, ormai orientate in una prospettiva interattiva, nella fase finale, proposi a Costantina[1] un nuovo mediatore sonoro: la chitarra.
Grazie all’adozione della chitarra rilevai che Costantina si relazionava meglio con me, aumentando la durata delle interazioni canore.
Gli strumenti a disposizione mi sembravano pertanto insufficienti a far fronte alle esigenze di Costantina.
L’habitat musicoterapico, ad eccezione del nuovo strumento, non ha subito modifiche.
Gli incontri avvenivano tre volte la settimana.
Durante la prima seduta, lo sguardo di Costantina cadde subito sulla chitarra, la guardava sorridendo, indicandomela con l’indice destro e con la mano sinistra mi chiedeva cosa fosse, mentre, nel frattempo, osservava anche me.
Costantina non conosceva la chitarra, il suo timbro.
Decisi così di prendere la chitarra ed iniziai a cantare le ‘nostre canzoni’[2].
Lo sguardo di Costantina era misto d’incredulità e stupore. Dopo aver suonato, collocai la chitarra al suo posto tra le maracas ed il triangolo.
Costantina, senza un attimo d’esitazione, incuriosita si alzò, prese la chitarra e tornò a sedersi sulla sedia, vicino alle maracas.
Iniziò a suonare, muovendo velocemente la sua mano destra dall’alto verso il basso, mentre la sua mano sinistra impugnava il manico, appoggiando le dita sulle corde. Il suo viso assunse un’espressione appassionata.
Costantina iniziò a cantare, adeguando il ritmo della sua esecuzione canora, mentre io “imitavo” con il cembalo la sua scansione ritmica.
Con il procedere del trattamento mi resi conto che la chitarra, introdotta all’interno dell’habitat musicoterapico per la mia esigenza di accompagnare la produzione canora di Costantina, era diventata il mediatore strumentale preferito dalla stessa, insieme al jambé ed al tamburo.
Nella quarta seduta, che io considero la più rilevante dell’intero trattamento finale, Costantina entrò nella stanza di musicoterapia e si sedette sulla sedia.
Era molto triste.
Mi chiese subito notizie della sua mamma ed iniziò a piangere. Dopo due minuti, Costantina si alzò e si sedette a terra vicino l’ingresso, appoggiando le sue spalle alla porta.
Anch’io mi sedetti di fronte a lei, dopo aver preso la chitarra. Eravamo molto vicine, mentre le sue lacrime continuavano a bagnare il suo viso.
Costantina non mi guardava, il suo sguardo era perso nel vuoto. Iniziai a suonare e a cantare con la speranza di alleviarle la sofferenza.
Costantina evitava il contatto oculare e sembrava  impenetrabile alle mie proposte musicali.
Notando la chiusura emotiva di Costantina,  decisi così di non suonare.
Appoggiai la chitarra sul pavimento e restai seduta a di fronte a lei.
Costantina non mi guardava, ma sentivo che in qualche modo era presente.
Ripresi  la chitarra e ricominciai a suonare.
Non volevo richiamare l’attenzione di Costantina, ma sostenerla, comunicarle, in qualche modo, che ero presente… ero lì, vicino a lei.
Non potevo fissare lo sguardo di Costantina, allora chiusi gli occhi e cominciai a suonare ciò che sentivo in quel momento. Dopo un’iniziale esecuzione di lente sequenze ritmiche e arpeggi, lasciai cadere a terra il plettro che  tenevo stretto tra le mie dita e cominciai, sommessamente  a far vibrare più volte a vuoto le corde MI (sesta corda), LA (quinta corda) e RE (quarta corda).
Suonai moltissimo, non so per quanto tempo.
Avvertivo sensazioni strane.
Sentivo di perdere il contatto con tutto ciò che mi circondava (la stanza in quel momento era vuota per me) e non sentivo più il mio corpo, avvertivo un senso di leggerezza. 
Aprii lentamente gli occhi, quando sentii “qualcosa” sfiorare delicatamente la mia mano sinistra, che impugnava il manico della chitarra.
Aprii gli occhi e mi resi conto che  quel “qualcosa” era la mano di Costantina.
Per la prima volta Costantina cercava il contatto.
Lasciai scivolare lentamente la mia mano sinistra (la mano destra di Costantina era appoggiata sopra la mia) verso il centro della chitarra.
Sfilai lentamente la mia mano,  e senza perdere il contatto,  l’appoggiai sopra la sua mano, facendo appoggiare le sue dita sulle corde, provocando una leggera pressione per far vibrare le corde (MI-LA-RE), spostando le mani verso il basso.
I nostri sguardi per un attimo si incrociarono.
Costantina però sollevò lentamente la sua mano e, girandola afferrò la mia, tenendomela stretta.
Appoggiai lentamente, con la mia mano destra, la chitarra a terra.
Lentamente lasciai scivolare più volte le mie mani, prima sulle braccia di Costantina, e poi sul suo viso, accarezzandola.
Lo sguardo di Costantina era “estasiato”, mentre nel frattempo fissava il soffitto.
Dopo circa cinque minuti cominciò anche lei ad accarezzarmi prima il viso e poi le braccia.
Costantina mi fissava, ma lo sguardo era ancora vuoto, gli occhi  mi sembravano quelli di uno spettro.
Il contatto durò circa quindici minuti, giunti al termine della seduta, lentamente aiutai Costantina ad alzarsi e l’accompagnai in reparto.
L’intera fase del contatto (vissuta con molta tranquillità) era, da me percepita, come un bisogno, molto intenso d’affetto, di aiuto, manifestato da una  “bambina”, che cercava il contatto con la mamma.
Con la consapevolezza che io ero solo “la sua amica” ed in nessun modo volevo e non potevo prendere il posto della “(sua) mamma”, nelle sedute successive decisi di favorire il “risveglio” della consapevolezza e della separazione delle nostre identità. Improvvisavo ad es. canzoni avvicinandomi a Costantina, toccandola e stringendole le mani; identificavo le nostre attività, cantando il nome di entrambe; inventavo canzoni inserendo anche i componenti della sua famiglia “Batti batti le manine che adesso vien…
Non sono mancati in quest’ultima fase momenti di libera improvvisazione sia strumentale che canora.
Man mano che la reciproca fiducia aumentava, le sedute acquistavano una nuova dimensione, attraverso cambiamenti musicali “prudenti”, ma intenzionali sia per la dinamica che per il ritmo. Un mondo di suoni si apriva a Costantina: percuotere il  tamburo o il jambé, strimpellare la chitarra divenne per Costantina fonte di gioia.
Riusciva ad ottenere suoni piano e forti, ed entrambe la soddisfacevano. Accrebbe progressivamente la durata del contatto oculare, mentre cantava (fino a tredici minuti) o suonava gli strumenti musicali (fino a quattordici minuti).
Non mancavano i momenti d’ascolto.
Costantina mi chiedeva spesso la canzone preferita: “La Tartaruga Sprint”, indicandomi il  lettore cd, imitando con i gesti le parole della canzone.
Durante l’ascolto muoveva non solo la testa ma anche il corpo, da una parte e dell’altra, in modo molto più disinvolto, in risposta alla musica ed esprimendo, con il viso, la sua felicità. L’andatura, pigra ed impacciata, cominciava a prendere slancio: il suo corpo si stava vivacizzando.
Durante le improvvisazioni, man mano che il trattamento volgeva al termine, la sensazione di fare musica insieme emergeva sempre di più. L’intera espressione corporea e strumentale rivelava Costantina per quello che era: una ragazzina “vivace” che stava uscendo dalla sua... “tana”.

 

Carla Bonomi

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* Relazione presentata anche al convegno: Percorsi d'ascolto nelle musicoterapie...Grosseto 21, 22 giugno 2014, MiA, Musicoterapie in Ascolto, 29 maggio 2014, http://musicoterapieinascolto.com/covegno-atti/236-convegno-percorsi-d-ascolto-nelle-musicoterapie
 
[1] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy.
[2]Bonomi Carla, Intonare... emozioni, 17 agosto 2010, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/esperienze/394-bonomi-carla-intonare-emozioni