Spaccazocchi Maurizio, Creatività
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- Pubblicato Lunedì, 02 Settembre 2013 08:43
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Per una visione antropologica della creatività
Witz,
imagination,
taste,
ingenio,
agudeza,
subitilitas,
goût,
esprit de finesse,
arranger,
arguzia,
arte di arrangiarsi,
remake…
e chissà quanti altri termini (lungo la sola storia occidentale europea dal 500 ai nostri giorni) sono stati utilizzati da artisti, scienziati, filosofi, pedagogisti, come concetti simili o comunque sinonimi di invenzione, creazione o, più in generale, di creatività.
Va detto però subito, che questi termini sono stati molto spesso indicati per offrire l’idea di una creatività intesa come un fare estremo, isolato, assente alcune volte pure da ogni presupposto di conoscenza, da ogni vincolo, insomma ci parlano di una creatività messa in atto da pochi fortunati, da artisti o comunque da soggetti ritenuti liberi di dar sfogo al loro più esplosivo spirito fantastico, immaginativo e dunque sembrano volerci presentare un’invenzione intesa come comportamento prevalentemente attivata da un rara ed estrosa genialità, durante l’esercizio di una sua specifica ricerca artistica e/o sperimentale scientifica in genere.
“Avere opposto la creatività alla conoscenza discorsiva, al linguaggio ordinario, alla casualità, alla scienza, fino a farne una attività spirituale priva di presupposti ed esente da vincoli, è l’irricevibile eredità della filosofia romantico-idealistica e, poi, del vitalismo più o meno bergsoniano che ha segnato la scena intellettuale a cavallo fra XIX e XX secolo.” [1]
La creatività è nell’umano
È chiaro, e lo dichiariamo subito, che non ci accontentiamo di questa immagine limitata ed isolata della creatività, e dunque siamo subito stimolati a cercare altrove una diversa visione della creatività, che possa ampliarsi e trovare giustificazioni più comuni e più profonde, specialmente in ottica antropologica.
Ecco quindi che ci troviamo a porci le seguenti domande:
- è possibile pensare alla condotta creativa come ad una qualità pertinente a tutto il genere umano?
- È altrettanto possibile pensare che l’ideazione-creazione della palafitta, del djeridoo, della ruota, ecc., abbiano certamente qualcosa in comune con un quadro di Giotto, una villa del Palladio, una fuga di Bach, un’ improvvisazione di Parker o con una canzone di Vasco Rossi?
La creatività è adattamento
Infatti, se intendiamo il comportamento creativo, come ad una condotta primaria umana, mirata ad stimolare nella nostra specie il costante gioco di adattamento all’ambiente, riusciamo subito a intravedere una linea continua fra quotidianità e artisticità, fra vissuto e creatività.
Con questo diverso indirizzo, la base originaria della condotta creativa umana si situerebbe nell’esercizio millenario che l’uomo, di ogni luogo e di ogni tempo, ha sempre con costanza dovuto mettere in atto per adattarsi, agire e reagire al mondo circostante, per promuovere l’esercizio stesso della sua sopravvivenza.
Ammesso ciò, la creatività nell’arte, con i materiali dell’arte, e quindi anche con i suoni e la musica, è da intendersi come un’espressione specializzata che correttamente entra a far parte di questo ben più vasto comportamento comune del genere umano, di ogni cultura, di ogni popolo:
“Si potrebbe dire, quindi che poesia, musica, pittura ecc. offrono una immagine […], delle risorse cui facciamo appello per conservare e potenziare la nostra vita. […].
Secondo Garroni l’arte <<esprime le caratteristiche dell’adattamento umano, le sue specifiche capacità illimitate di scelta sotto condizioni intellettuali, sotto una legalità assai generale, capace quindi di specificarsi secondo i modi più diversi e opportuni.>>”. [2]
Dunque arte e vissuto quotidiano contribuiscono ad orientare e adattare l’uomo in un determinato mondo, in un definito contesto e per quei certi determinati bisogni, primari o secondari che siano.
Per sua specifica natura, l’uomo è perciò presente in questo mondo soprattutto perché è riuscito a sviluppare una ricca e vasta serie di regole e di tattiche che, tra l’altro, è pur sempre impegnato a rinnovarle costantemente per adattarsi e riadattarsi all’ambiente, per pro-muovere la sua esistenza.
È altrettanto evidente che i modi di adattarsi e riadattarsi dell’uomo, da un punto di vista prettamente teorico, possono essere tantissimi, ma che poi, in un determinato contesto, è costretto ad attuare delle scelte, ad applicarne una su tutte le altre possibili. Ecco dunque che la creatività si trova inevitabilmente messa in esercizio, per rendere possibile una determinata esperienza fra le tante soluzioni possibili che l’uomo, grazie al suo esperito sapere e saper fare, ha a sua disposizione.
A questo punto ci possiamo pure permettere di dare una generale e basilare definizione della creatività: quel modo in cui la nostra specie si adatta all’ambiente, quindi quello specifico modo in cui si esegue quel dato insieme di compiti operativi e cognitivi che servono a garantire la sopravvivenza.
La creatività: dal quotidiano all’artistico
Per queste ragioni non appare più corretto ammettere un distacco netto, un muro di separazione fra l’esercizio della quotidianità e l’esercizio artistico-creativo poiché, fra quotidiano e artistico, è ben più giusto pensare ad un percorso senza soluzioni di continuità, in cui l’atto creativo si può esplicare a vari livelli e gradi, in rapporto ai vari contesti, materiali, conoscenze e bisogni.
Se da una parte le conoscenze determinano nel tempo storico regole e teorie (più o meno esplicitate o definite), dalla parte dell’esperienza si specificano gli adempimenti, le applicazioni pratiche, le soluzioni o le tattiche reali. È quindi coerente pensare che: se le regole e le teorie si attestano a livello generale, osservando e/o analizzando gli eventi e/o i prodotti in un’ottica anch’essa generale, le applicazioni pratiche trovano il loro più specifico senso a livello particolare, motivandosi e legandosi con più forza al contesto, al momento, all’occasione, al bisogno e, perché no, al piacere, allo stesso gusto della singola persona.
Sul piano teorico, queste considerazioni ci permettono di ipotizzare quanto segue: le regole, pur offrendo un ricco campo di spunti e/o idee, non possono essere sempre in grado di giungere ad indicare quella giusta applicazione più utile per quel determinato contesto, occasione, bisogno:
“… nessuna regola fornisce nelle stesso tempo tutte le condizioni necessarie e sufficienti per la sussunzione di un caso particolare sotto di essa. Ogni regola applicativa intellettuale eventualmente fornita richiederebbe una regola ulteriore per la sua applicazione, e così via.”. [3]
La creatività e il principio soggettivo estetico
Infatti se ogni qualsiasi regola fosse in grado di indicare con precisione, e in ogni specifico caso, la corretta applicazione non ci sarebbe alcuna creatività, non si parlerebbe affatto di invenzione o di creazione umana. Ecco le ragioni per cui, pur riferendosi l’uomo alle regole generali, l’adattamento e l’attaccamento a quel particolare contesto, rende ogni specifica applicazione più libera e più lontana dalle generalizzazioni delle regole stesse: da ciò si motivano le scelte applicative che molto spesso vengono spinte, all’interno di un determinato contesto, anche da selezioni che si possono rivestire quasi sempre di un principio soggettivo estetico-creativo. Un principio che si basa su capacità che non sempre sono date da principi intellettuali:
“In questo senso, in quanto non è un principio intellettuale, esso è piuttosto un principio costruttivo e creativo: vale a dire, l’esperienza è possibile solo in funzione anche di una capacità costruttiva e creativa, non determinata da concetti.”. [4]
Spetta quindi all’uomo “preso” in una specifica occasione, con le sue capacità costruttive e creative decidere, fra un campo aperto di possibilità, quell’applicazione finita, quella scelta che dovrà assolutamente emergere in quel determinato evento finito. Operazione questa che ben potremmo definire come la conquista di un mezzo finito fra una infinita serie di possibilità. Dunque si tratta di intravedere l’essere umano come soggetto in grado di giungere a scegliere, fra una infinità di applicazioni possibili, quell’unica applicazione che determinerà il valore stesso della sua capacità costruttiva, creatrice, della sua soggettività estetica che molto ha in comune con le sue emozioni e i suoi sentimenti.
La creatività: giocare con applicazioni e mutazioni di regole
Una scelta finita, decisa fra una infinità di soluzioni, è ciò che inevitabilmente ha dovuto fare, ad esempio, la poetessa Emily Dickinson nel momento in cui si è trovata a dover risolvere un finale fra i tanti possibili per una poesia che sino a quel punto si presentava come una semplice e pulita elencazione di eventi naturali vissuti e descritti:
A sepal, petal, and a thorn
Upon a common summer’s morn –
A flask of Dew – a Bee or two –
A Breeze – a caper in the trees –
And I’m a Rose! [5]
In quante maniere la Dickinson avrebbe potuto terminare questa serie di eventi naturali, dal momento che la regola poetico-linguistica, molto aperta, ne poteva ammettere una infinità? La breve frase finale And I’m a Rose! conferma in modo evidente come la scelta di quella e solo quella, fra le tante applicazione linguistiche possibili, sia piuttosto frutto di un “gesto” creativo promosso dall’inevitabile coinvolgimento emotivo-soggettivo che ci descrive chiaramente una vera e propria “entrata” sensoriale dell’autrice in quello specifico contesto naturale da lei stessa “disegnato”.
Ma la creatività oltre a lavorare sulle applicazioni contestuali gioca pure mutando o creando regole che di conseguenza stimoleranno altre applicazioni. È ciò che Gianni Rodari propone nel momento in cui ci invita a mettere in pratica la regola (o il meccanismo) della cosizzazione umana, cioè quel modo di fantasticare e dunque pensare all’uomo come se fosse un oggetto, una cosa:
“Il signor Dagoberto fa di mestiere il tavolino per gli appunti. Quando il padrone fa il giro della fabbrica, lui gli cammina a lato e se il padrone deve prendere appunti curva la schiena, il padrone ci scrive…”.[6]
In questo caso l’essere umano è altro, è oggetto, cosa, e dunque le regole dell’invenzione letteraria mutano il percorso, entrano in uno spazio fantastico che, di conseguenza, stravolge la qualità e la pertinenza stessa dell’esistere umano, del pensare umano.
La creatività e la musica
In musica, in ogni musica di ogni cultura, tempo e luogo presentano, pur con materialità diverse, le stesse identiche scelte: intervenire sulle tante possibilità applicative per giungere ad una selezione mirata e/o intervenire sulla mutazione stesse delle regole, sulla strutturazione di un “nuovo” sistema di suoni o di un altro “linguaggio” musicale.
Tutta la musica del mondo colta o popolare che sia, si “nutre” di codici generali, pratiche, tecniche e stili (più o meno esplicitati a livello audio-percettivo e/o teorizzati) per giungere alla creazione di una singola opera o prodotto che, quasi sempre, è frutto di applicazioni dettate dal contesto, dal gusto, dal sentimento, dalle capacità costruttive messe in atto dalle scelte di un semplice gruppo di persone, di un più vasto gruppo sociale o, come molto spesso accade nell’arte musicale, da un solo individuo.
I modi di cantare e di suonare, come i modi di danzare o di utilizzare la musica nei vari luoghi del mondo, si differenziano per queste selezioni, che molto spesso, tendono ad allontanarsi dalle loro regole generali, cercando comunque di prenderle in considerazione fino al momento in cui non si giunge a quella determinata scelta che personalizza, quella determinata l’applicazione che rende l’oggetto o la creazione musicale frutto di un adattamento all’interno delle possibili soluzioni che quell’evento, prodotto o opera musicale avrebbe potuto offrire.
Un esempio classico: nelle regole dell’armonia tradizionale eurocentrica, sono previste delle conclusioni di frase che prendono il nome di cadenze ( perfette, plagali, evitate, sospese, ecc.): queste vanno intese come possibilità applicative offerte dal sistema e che, poi, nella singola e specifica composizione, possono subire varie trasformazioni dettate da scelte soggettive, costruttivo-creative, connesse pure ad una estetica, ad un sentimento storico e, in certi casi, pure religioso (l’armonia corale gestita da Johann Sebastian Bach è certo ben diversa da quella concepita dal compositore ungherese György Lieti nelle sue fasce armoniche micropolifoniche).
Queste sono le ragioni che ci portano a pensare che un qualunque fare artistico-creativo (musica, pittura, poesia, danza, ecc.) sia sempre frutto della combinatoria fra il contesto particolare e soggettivo e le conoscenze intese come regole e teorie. Ed è proprio da questa combinatoria che la creatività umana giunge a “giocare le carte” più utili per individuare tanto le possibili applicazioni quanto per modificare le leggi stesse che stanno alla base di ogni linguaggio artistico. Infatti le varie forme d’arte e gli stili che nel corso dei secoli si sono succedute, variate e rinnovate, sono una chiara dimostrazione di questo costante ed inevitabile gioco fra applicazioni contestuali, particolari e mutazioni di regole generali. Da tutto questo si può ricavare pure che il rapporto fra specifiche applicazione contestuali e mutazioni delle regole, a volte, può essere davvero molto stretto e che, quindi, la scelta di una certa applicazione contestuale può ben costituire la mutazione o la trasgressione della regola generale stessa e, viceversa, la mutazione di una regola comporta l’apertura verso altre e diverse applicazioni contestuali.
La creatività come regolazione della neofilia umana
Alla base di ogni condotta creativa possiamo trovare il piacere dell’esplorazione dell’ambiente, dei materiali, dei suoni, ecc. Questo piacere esplorativo innato, questa ricerca del nuovo, che si espande con il bisogno di scoprire, conoscere, utilizzare o adattare a noi il mondo circostante nella sua totalità, è indice di una condotta neofilica che nella razza umana emerge in modo sorprendente, sino al punto di farci parlare di veri e proprio comportamenti creativi. Dalle prime attività d’esplorazione dei bambini alle successive creazioni degli adulti, il percorso è dunque lineare, contiguo. Tutte queste attività farebbero parte di un vero e proprio gioco di regole mirate al controllo e alla gestione della vivacissima dote neofilica presente sin dall’infanzia nell’uomo:
“Se mettiamo da parte le funzioni secondarie di queste attività (denaro, posizione sociale e così via), ecco che queste appaiono, da un punto di vista biologico, come il prolungamento nella vita adulta delle forme di gioco infantile, o come una sovrapposizione delle ‘regole di gioco’ sui sistemi adulti di informazione-comunicazione.
Queste regole si possono elencare nel modo seguente:
1) indaga su ciò che non conosci fino a che non ti è diventato familiare;
2) effettua ripetizioni ritmiche di ciò che ti è familiare;
3) varia questa ripetizione in quanti più modi è possibile;
4) scegli le variazioni più soddisfacenti e sviluppale a spese delle altre;
5) combina queste variazioni tra loro più volte;
6) fai tutto questo per ciò che è, come fine a se stesso.
Questi principi valgono da un estremo all’altro della scala, sia che si consideri un bambino che gioca sulla sabbia, sia un compositore che lavora su una sinfonia.”. [7]
Da ciò si può dedurre con facilità che un popolo senza una gestione intelligente dei suoi impulsi neofilici o, al contrario, troppo attaccato al bisogno neofobico delle cose familiari o note, non potrà mai produrre una cultura creativa sia del quotidiano e sia dell’artistico.
Ma ancor di più constateremo, nel seguente paragrafo, che una ipotetica società finalizzata solo a realizzare comportamenti neofobici, non potrà trovare quella giusta esaltazione che fa aspirare l’uomo verso un pensiero infinito, come può invece fare una società che opera anche in direzione creativa, artistica, estetica.
La creatività: dall’umano finito, all’infinito
L’adattamento umano all’ambiente, proprio in quanto adattamento, non potrà mai ritenersi esaustivo, anche perché le possibili proposte che l’uomo potrà esercitare sull’ambiente si realizzano sempre sulla base di un ampio livello di scelte probabili, possibili. Quindi, quando si parla di adattamento all’ambiente è inevitabile che ci troviamo davanti ad un fare umano che mostra tutto il suo senso del limite, del parziale, del provvisorio. E questo senso di incompletezza, nel quotidiano vivere, può facilmente
mutarsi in dubbio, in perplessità, incertezza, insicurezza, in ansia, paura. L’esistere in questo mondo, vivendo con il corpo-mente questo stato di scarsa serenità, ha bisogno assolutamente di compensarsi in altre maniere, in altri percorsi.
Ecco allora presentarsi all’umano vivere il vero compito dell’arte musicale e generale: promuovere comunque un passaggio (certo mai stabile) da un possibile stato di costante insicurezza alla serenità, alle certezze (pur essendo anche queste mai stabili).
Solo in questo modo possiamo giustificare la condotta artistico-creativa, non più e non solo, come la manifestazione di un surplus energetico espressivo-costruttivo esternato da pochi addetti, ma soprattutto come il costante bisogno di compensare il limite stesso del nostro esistere, del nostro adattarci in questo mondo:
“… l’arte non si limita a rispecchiare in forme specializzate le procedure adattive, ma garantisce anche una compensazione emotiva di fronte alla loro lacunosità e ai loro colpi a vuoto:<< ciò che nella conoscenza e nel comportamento pratico è fonte di ansia consapevole può e in qualche modo deve divenire – in una socializzazione estetica – stato d’animo rassicurativo, contropartita dell’ansia, sua integrazione sentimentale, tale da rendere ‘sicura’, per così dire, la stessa ‘insicurezza’, in quanto compresa e dominata mediante un’operazione, anche soltanto soggettiva, di anticipazione e totalizzazione dell’esperienza possibile.” [8]
Ecco che l’arte musicale e generale, come espressione di una condotta prevalentemente creativa, si assume pure il compito di rassicurare l’insicurezza, di invitare l’uomo a convivere con la mancanza del senso di completezza, di educarlo alla situazione imprevedibile, a volte pure inquieta: ci invita ad adattarci al costante senso di incompletezza tipico della nostra esistenza.
Ecco come il senso del finito, grazie alla condotte artistico-creative, si può trasformare in forma più positiva, offrendo all’uomo la capacità di ri-vedere la sua esistenza e la sua immagine proiettate oltre il quotidiano, verso l’infinito.
Ma forse la poesia…
Questo discorso sull’adattamento e sulla reazione all’ambiente circostante, sulla continuità della condotta creativa che muove i suoi passi già dal vissuto quotidiano per giungere a quello artistico, può essere sintetizzato ed espresso in tante altre forme. Ad esempio può essere enunciato pure dalla stessa creatività poetica che a volte riesce a “disegnare” in poche frasi, come in questo caso, il senso dell’adattamento creativo che ogni bambino può esercitare nei confronti del mondo circostante. Un adattamento che è chiaramente frutto di una appropriazione creativa che assume pure una grande importanza epistemologica:
C’era un bambino che usciva ogni giorno,
E il primo oggetto che osservava, in quello si trasfondeva,
E quell’oggetto diventava parte di lui per quel giorno o per parte del giorno
O per molti anni o vasti cicli di anni.
I primi lillà divennero parte del bambino
E l’erba e i convolvoli bianchi e quelli rossi, e il bianco e il rosso trifoglio, e il canto del saltimpalo,
Gli agnelli marzolini, la rosea figliata di scrofa, il vitello e il puledro
La chiassosa nidiata dell’aia o del pantano vicino allo stagno
E i pesci così stranamente sospesi, e il bel liquido strano,
Le piante acquatiche dalle graziose cime piatte; tutto questo divenne parte di lui.[9]
Nel dar forma a questa poesia Walt Whitman ci dimostra, ancora una volta, che i suoi risultati creativi, estetici sono frutto della sua stessa personale capacità di adattamento al mondo, ai luoghi della sua vita. Anche perché, vivere, non è una pratica che si apprende in una giornata, ma in ogni secondo della nostra esistenza. E lo stesso vivere, inteso pure come adattamento alla morte, ha già di per sé tutta la sua potenza creativa, come duemila anni fa ci indicava il filosofo e letterato latino Seneca:
“… l’arte di vivere si deve continuare a impararla per tutta la vita, anzi, e questo forse ti stupirà, per tutta la vita si deve imparare a morire.” [10]
Maurizio Spaccazocchi
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[1]Virno, P., nella prefazione al testo di Garroni, E., Creatività, Quodlibet, Macerata, 2010, p. 11. Inoltre, in musica, abbiamo sempre assistito a molte affermazioni, da parte di compositori ed esecutori che, in merito al tema improvvisazione e creatività, hanno troppo spesso mostrato l’immagine di prassi nate dal caos, dal rifiuto di schemi e di modelli, dal rifiuto di una conoscenza insita in ogni soggetto e che, in qualche modo, ci hanno lasciato un’idea di creatività imprecisa e molto ristretta al solo momento artistico. Molto indicativa, ed esemplificativa di questa mentalità creativa, è la frase (pur limitatamente condivisibile) del famoso trombettista jazz Miles Davis: L’improvvisazione è andare al di là di ciò che si sa.
[2] Ibidem, p. 33.
[3] Garroni, E., Creatività, Quodlibet, Macerata. 2010, p. 143.
[4] Ibidem, p. 143.
[5] Trad.: Un sepalo ed un petalo e una spina/In un comune mattino d’estate/Un fiasco di rugiada, un ape o due/Una brezza/Un frullo in mezzo agli alberi/Ed io sono una rosa!
[6] Rodari, G., Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, p.142.
[7] Morris D., La scimmia nuda, Bompiani, Milano 1968, p.147.
[8] Virno, P., nella prefazione al testo di Garroni, E., Creatività, Quodlibet, Macerata, 2010, pp. 32-33.
[9] Walt Whitman, Foglie d’erba, Rizzoli, Milano, 1988, (trad. it. Ariodante Mariani).
[10] Seneca, La brevità della vita, in Seneca, Tutte le opere, Bompiani, Milano, 2000, p. 233.