Converso Astrid, Emozioni silenziosamente assordanti
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- Categoria: SILENZIO & SILENZI
- Pubblicato Venerdì, 11 Luglio 2014 09:06
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Ci[1] sono parole che in certi momenti e in certi luoghi esprimono lo «spirito del tempo». Così è stato per la parola silenzio, che ha accompagnato la mia esperienza musicoterapica con Anna[2], all’epoca ventiseienne. Mi piace descriverla come una ragazza alta, occhi profondi e molto grandi, a dispetto della cartella clinica che invece la definisce con la diagnosi di: “ritardo mentale da cerebropatia perinatale, anomalie del comportamento; problemi di respirazione”.
Ma partiamo con ordine; da circa dieci anni lavoro come musicoterapista e come educatrice presso “L’Ancora”, un Centro Socio Educativo in provincia di Como. Questa struttura offre agli ospiti servizi educativi e terapeutici volti allo sviluppo dell’autonomia individuale e all’integrazione sociale al fine di garantire ad ogni persona una buona qualità della vita. Così ho iniziato a lavorare con alcune “persone speciali” che mi hanno insegnato ad ascoltarmi, a prestare ascolto, a percepire gli stati emotivi dell’altro e, nello stesso tempo, a capire anche i miei stati emozionali rivolti all’altro.
Con i suoi “dialoghi silenziosi”, Anna mi ha sollecitato a compire un’analisi introspettiva, interrogandomi lungamente sul senso di questa particolare forma di comunicazione emotiva.
Anna mi incuriosiva, fin dal primo periodo d’osservazione.
Occhi quasi sempre e apparentemente persi nel vuoto… varie e molteplici stereotipie (pulirsi la bocca con le dita della mano tese passando per il naso, esponendo la lingua)… cercare di strapparsi i capelli… accavallare, con scatti agitati, le gambe.
Osservandola mi trasmetteva una richiesta di attenzione che evidentemente non riceveva dagli altri ospiti.
Perplessa e intimorita, iniziai il mio percorso con Anna, chiedendomi se mi avesse sommerso di parole o se preferisse parlare anziché suonare gli strumenti proposti.
La prima volta che Anna entrò nell’ habitat musicoterapico apparve disorientata poiché si sedette guardandosi attorno e attese istruzioni.
Le dissi che poteva suonare tutti gli strumenti, senza chiedere il permesso.
Iniziò subito a parlare, balbettando contenuti senza senso, raccontando della carota che portava al suo cavallo… dei lavori di taglio e cucito o di strani racconti riguardanti un corvo nero che si appoggiava su una tomba.
Lo strano eloquio era intervallato dal suono di un piccolo sonaglio verde, formato da cinque campanelle, che teneva gelosamente tra le mani.
All’inizio rimasi sconcertata, ma avendola già osservata all’interno della vita collettiva della comunità ed essendo consapevole del suo modo di agire, mi posi in ascolto, sebbene, il più delle volte, la sua comunicazione fosse rivolta verso di sé.
Questo “modus operandi” si protrasse per circa metà anno, continuando ad usare molto il linguaggio verbale e poco gli sguardi diretti, il tutto intervallato dall’incessante suono dei campanellini, il suo strumento preferito.
In seguito iniziò a diminuire il tempo delle conversazioni, ma permaneva in lei la voglia di suonare, servendosi dello stesso strumento, suonandolo continuamente, ad eccezione di quando articolava parole.
Tutto procedeva con linearità finché iniziò a diminuire il tempo destinato alle comunicazioni verbali e iniziò… “il lungo inverno”.
Ora lo “spirito del tempo” pareva volere incarnarsi in una figura retorica, quella del silenzio assordante, figura retorica chiamata «ossimoro»: l’unione impossibile di due opposti che descrive, come meglio non si potrebbe, ciò che successe nelle nostre sedute.
Anna cessò di parlare, di suonare e, seduta sulla sedia, iniziò a guardarmi, tenendo la testa inclinata su un lato. In un secondo momento, si allontanava di scatto o accavallava le gambe in modo agitato a volte ridendo sommessamente, altre volte con lo sguardo adirato come se avesse appena ricevuto un rimprovero.
La chiamavo, provavo a suonare qualche strumento, ma lei non dava alcun tipo di risposta.
Quel silenzio era fastidioso, non riuscivo a sopportarlo, e non capivo il perché di tanto malessere.
Forse avevo paura di non essere all’altezza del compito?
Pensavo di non voler ammettere, a me stessa, che il cambiamento di Anna lo stavo vivendo come un fallimento professionale ed emotivo?
Se Anna era cambiata, era per il mio intervento erroneo.
Se il silenzio mi dava tanto fastidio era perché non riuscivo a sopportare emotivamente lo stato di disagio di chi mi trovavo di fronte?
Più cercavo di capire il vero perché di tanto fastidio, più provavo irritazione per Anna che continuava a stare in silenzio, dondolandosi o guardandosi attentamente le mani, i piedi o qualsiasi altra parte del corpo.
Qualche volta, quando andavo a prenderla, la trovavo con i compagni intenta a ridere, sorrideva anche a me ma, appena saliva nella stanza, iniziava il mutismo.
Anna continuava a non rispondere agli stimoli esterni; rimaneva seduta con le sue piccole stereotipie e non comunicava.
Quando la interpellavo, cantilenando il suo nome, si girava, mi guardava per pochi istanti e poi sorrideva, strizzando gli occhi, in caso contrario continuava a fissarmi con occhi spenti e con aria interrogativa.
Il cambiamento importante arrivò dopo circa due settimane di autoanalisi introspettiva personale e di “penose” sedute di supervisione.
Quel giorno Anna arrivò arrabbiata e scontrosa; era di pessimo umore.
Gli stati d’animo di Anna erano altalenanti ogni giorno, ma erano sempre presenti sia la rabbia che la gioia.
Prima di allora non aveva mai manifestato un solo stato emotivo oltretutto così ben marcato.
Sempre più sconfortata, decisi di rimanere anch’io in silenzio, non avevo voglia di fare niente, mi sentivo sconfitta, senza forze.
Rimanemmo per “quarantacinque” minuti in silenzio, guardandoci reciprocamente.
Anna era molto incuriosita dal mio silenzio.
Nonostante tutto quel silenzio mi giovò.
Non sapevo darmene una ragione ma, al termine della seduta, mi sentivo meglio.
Decisi di continuare su questa linea fino alla chiusura estiva del centro.
Ormai mancavano poche sedute ma mi permisero di capire, anche se lontanamente, il mondo di Anna.
In silenzio era più facile osservare il suo comportamento, i suoi atteggiamenti e i suoi sguardi.
In silenzio si percepiscono i respiri dell’altro, il battito cardiaco, i ritmi corporei.
Continuavo ad osservarla e, per quanto mi fosse stato possibile, cercavo di eseguire le stesse sonorità che produceva, per farle capire che ero con lei, che la stavo ascoltando.
Il suo sguardo mutò, iniziò a guardarmi più spesso, e a reggere il mio.
Il silenzio era il nostro mezzo comunicativo, riuscivamo a “comunicare” guardandoci o riproducendo gli stessi suoni o gesti.
Al termine delle sedute con Anna mi sentivo sempre rilassata; mi sentivo bene.
Lentamente comprendevo che ero riuscita ad entrare in sintonia con lei.
Poco alla volta, tornando dalle vacanze estive, Anna cominciò nuovamente a suonare e a parlare, non come prima in modo continuo, ma usando la parola per formulare frasi che avessero senso e iniziando a rispondere a domande che le ponevo su quello che mi raccontava.
Con mia sorpresa, un giorno Anna disse: “Guarda che io ho il cuore fragile… sono fragile…”.
Con queste parole forse Anna mi comunicava finalmente il suo intimo desiderio di essere protetta, coccolata, affidandosi a me.
In una delle riunione d’èquipe l’educatrice di riferimento mi fece notare quanto era cambiato il modo di relazionare di Anna. Ora appariva più rilassata e, nei rapporti con gli altri, iniziava ad aspettare il proprio turno per prendere parola.
Dovendo fare un bilancio finale, allo stato attuale delle cose c’è ancora molto lavoro da fare, ha ancora “ricadute silenziose” e, a volte, non vuole proprio suonare.
Regge per pochi secondi il primo strumento che le capita vicino, per poi abbandonarlo, ma sono contenta di essere riuscita a capire, in parte, il suo mondo e di aver accettato il silenzio come mezzo di comunicazione speciale.
In ogni incontro con Anna è come se ascoltassi le note del mio e del suo silenzio… forse è musica?
Riflettendo in merito a questa singolare esperienza ritengo che il silenzio sia, per l’appunto, silenzio; può essere piacevole solo quando lo si ricerca con convinzione, ossia quando si vuole rivolgere l’orecchio verso se stessi.
La contentezza o l’assillo che proviamo dipende quindi da come si vive il silenzio.
Quando nella sala regna quel piacevole “silenzio” che, in fondo, é la cosa più bella di tutte, l’emozione di chi sta in ascolto si espande e ciò è bello e veramente importante.
Così almeno lo è per me.
Bisogna volere fermamente il silenzio, anche a prezzo di qualche sacrificio, allora lo si ha.
Chi non ha sperimentato almeno una volta il valore del silenzio non può comprendere come se ne possa star senza.
Tuttavia il silenzio non deve essere unicamente esteriore, come luogo, dove nessuno parli e nessuno si muova.
Tutto ciò, infatti, si può benissimo avere con il rumore nell’animo.
Il reale silenzio implica che i pensieri, i sentimenti e il cuore siano in pace.
Il reale silenzio deve dominare lo spirito e penetrare sempre più nel profondo dell’animo, rispecchiandolo.
Se poi si cerca di creare questo silenzio interiore, s’intravede subito che non è un’impresa immediata.
Non basta quindi volerlo ma, lo si deve esercitare.
Penso che il silenzio sia essenzialmente l’altra faccia della medaglia, non solo nella comunicazione, ma più in generale rappresenta un elemento indispensabile nella percezione sensoriale poiché, nel silenzio, i sensi si acuiscono maggiormente.
Se è vero che il suono fa parte della vita ed è indispensabile, esso si oppone con forza al silenzio.
Ma è anche vero che quest’ultimo è la base su cui esso si dispone.
Sia le parole, sia il silenzio trasportano informazioni precise, realizzate con l’ausilio della comunicazione non verbale, vale a dire con quel vasto bagaglio di movimenti, gesti ed espressioni di cui il corpo umano dispone.
La postura, l’atteggiamento e i movimenti integrano il silenzio con tutta una serie di messaggi secondari.
A volte, come nel caso di Anna, il silenzio rappresenta, una strategia comunicativa che, dal punto di vista di chi la impiega, comporta una controllo quasi inconscio ed impulsivo, mentre, dal punto di vista di chi la rileva od osserva, richiede uno sforzo impegnativo per evitare di mal interpretarla.
Penso che il silenzio sia uno strumento che, se mal gestito e mal controllato, può produrre effetti controproducenti.
Esso rappresenta una comunicazione nella stessa misura in cui lo è una discussione animata e, saperla usare nel modo corretto, non è da tutti.
Il silenzio rappresenta quindi, paradossalmente, una grande comunicazione.
Nel silenzio, i nostri sensi sono concentrati su quello che esprime il corpo, quando fa affiorare l’anima e non la parola.
Si può comunicare col nostro silenzio, quando rispecchiamo col nostro corpo la comunicazione corporea che l’altro esprime in modo non verbale.
Ho fatto questo con Anna e penso mi abbia aiutato molto nella relazione.
Gli anni sono passati e per offrire anche ad altri ospiti la possibilità di esplorare il mondo della musicoterapia, ho terminato il mio lavoro con Anna. Ora Anna è cambiata. Aggressiva, scostante, insofferente, presenta dei forti tratti ossessivi-compulsivi come ad esempio l’apertura immotivata e frequente di porte, cassetti. Una tirocinante psicologa che segue il suo caso scrive: “Anna vive in uno stato di ritiro, dove la comunicazione dell’altro è vissuta come un’invasione e la sua comunicazione appare aggressiva, disturbante.” E ancora “La famiglia di Anna non sembra accettare la situazione e richiede molto dal punto di vista della performance: l’attività in piscina, che Anna non gradisce affatto…” e ancora “… grida in continuazione, a seguito di probabili allucinazioni/deliri…”.
Da queste considerazioni è nata l’idea di attivare appositamente per lei, ed in seguito traslare ad altri utenti bisognosi, un progetto, un percorso che permetta ad Anna di entrare in relazione e comunicare focalizzandosi sul canale non verbale, a partire da alcuni oggetti (in particolare poi sono state scelte delle stoffe, di diversi tipi) usati come mediatori all’interno dell’atto comunicativo, senza richiedere alcuna performance da parte di Anna. L’importanza dell’uso del silenzio e del vuoto (inteso come assenza di stimoli diretti alla persona) come opportunità de compressiva e liberatoria. Anna iniziò il percorso prima con la tirocinante psicologa e successivamente con l’educatrice che segue il suo percorso in cooperativa. L’esito è stato sorprendente poiché durante gli incontri “Anna è quasi sempre in silenzio, solo all’inizio e alla fine pronuncia alcune sue frasi stereotipiche.”. In base a quanto sopra abbiamo compreso che Anna è stata bene, e anche noi, nonostante un po’ di tensione iniziale. “Sarebbe rimasta lì anche altro tempo… “… ad accompagnare l’esperienza, il silenzio… Anna richiede in modalità non verbale il protrarsi dell’esperienza…”.
Che dire, sicuramente l’elemento che risalta, che salta agli occhi è la capacità di Anna di utilizzare il tempo condiviso per stare, appunto, insieme: andando oltre l’uso del linguaggio verbale che spesso nell’interazione con Anna l’allontana, più che avvicinarla.
È quindi possibile, in questi termini, pensare la musica come un assordante emozione silenziosa che può arrivare in aiuto per coloro che potrebbero trarre beneficio dal focalizzarsi sul canale non verbale, emotivo, e che faticano maggiormente dal punto di visto relazionale - comunicativo.
Astrid Converso
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Per ulteriori approfondimenti
Converso Astrid, “Guarda che io ho il cuore fragile”... Cinque storie musicoterapieche per conoscere il grave ritardo mentale, 10 marzo 2014, MiA, Musicoterapie in Ascolto,
[1]Relazione presentata dalla Mt Astrid Converso a Grosseto, il 22 giugno 2014, al Convegno… L’ascolto nelle prassi “musicoterapiche”: riflessioni, esperienze, prospettive.
[2]Nome di fantasia, in ottemperanza della privacy.