Antica saggezza Hz: “È bene pensare 432 volte prima di innamorarsi di una frequenza”

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Da qualche tempo sulla stampa nazionale, nella “rete”, sui “social” e nei canali video di internet, imperversa una frequenza: la 432 Hz. 

Il fatto singolare è che questa realtà acustica, di per sé, non dice nulla di particolare alla moltitudine delle persone che non conoscono la fisica acustica, ad eccezione degli addetti ai lavori che sicuramente, occupandosi di suono, l’avranno studiata e utilizzata.

Come mai c’è tanta popolarità e risonanza intorno a questa particolare frequenza che, nello specifico, ci riporta agli studi inerenti all’intonazione scientifica https://it.wikipedia.org/wiki/Intonazione_scientifica? La frequenza dei 432 Hz è uscita dai ristrettissimi ambiti di impiego e di studio, cari ai tecnici del suono, agli accordatori, agli ingegneri del suono, ai fisici acustici, ai compositori di musica elettronica, ai programmatori di musica, agli informatici musicali e anche ai musicisti perché è trapelata la voce che abbia, in sé, un’esclusiva valenza terapeutica per cui aiuta, cura, armonizza, magari può anche guarire.

Ormai l’effetto Mozart è solo un pallido ricordo, la vera terapeuticità risiede ora in questa frequenza. Leggendo la stampa nazionale sembra di capire che se accordiamo uno strumento, magari il principe degli strumenti: il pianoforte, ovviamente a 432 Hz, il gioco è fatto, la musica che suoniamo sarà terapeutica.

Così ben accordati, siamo pronti con il nostro pianoforte a intervenire nei più svariati contesti che richiedano la nostra cura come, ad esempio, perché no, in una sala operatoria mentre magari si svolge un delicato intervento chirurgico.

Per chi di musica non se ne intende molto e purtroppo non sa suonare un pianoforte, niente paura, basta che cerchi sul famosissimo canale video di internet e, dopo qualche “clic”, troverà una quantità considerevole di musica, accordata a 432 Hz, ovviamente.

Lì, si potrà sbizzarrire un bel po’ e sicuramente otterrà quella musica “terapeutica” che… armonizza e cura.

Beh, allora, è molto semplice, per avere un effetto musicale terapeutico, basta accordare qualsiasi strumento alla frequenza dei 432 Hz, oppure ascoltare musica sempre a 432 Hz e il gioco è fatto.

Immaginate i possibili sviluppi dell’impiego della frequenza a 432 Hz; oltre al pianoforte e ai noti strumenti professionali: archi, ottoni, legni, percussioni, possiamo avere nuove generazioni di strumenti facili da trasportare e da usare come, ad esempio, le maracas, le claves, i triangoli, le nacchere, le castagnette, i crepitacoli e perfino i didgeridoopurché accordati naturalmente con la terapeutica frequenza. Pensate un po’, possiamo anche riassaporare il piacere dell’ascolto di quei flauti dolci didattici, tanto ingiustamente bistrattati da certa cultura benpensante, largamente adottati nella Scuola Secondaria di Primo Grado, ovviamente se li fabbricano debitamente accordati a 432 Hz.

Insomma, sembra che con l’adozione di questa frequenza si ottengano benefici impensati e, fatto importante, chiunque potrà riequilibrare e riequilibrarsi.

Allora, ditemi voi qual è la morale che traggo da questo argomentare?

Cari studenti dei corsi di musicoterapia, se dopo aver fatto un lungo percorso di studi musicali, una laurea di primo livello e una scuola di specializzazione di musicoterapia di due, tre o quattro anni, e finalmente lavori, tra mille difficoltà, perché hai studiato così tanto?

Non era meglio accordare il tuo strumento alla frequenza perfetta, oppure far ascoltare qualche musica, ovviamente accodata a 432 Hz, piuttosto che studiare una vita e non essere minimamente culturalmente riconosciuto per quello che fai?

Poiché anch’io, musicoterapeuta di lungo corso, ho fatto la mia brava e lunga, approfondita formazione di musica e di terapia, mi vien da dire: “O “pirla” che non sei altro, perché hai studiato così tanto se la soluzione terapeutica era lì, sotto le tue orecchie, e non l’hai colta?”.

Perché mai in musicoterapia consideri lo strumento musicale come un mezzo per giungere all’altro per poterlo aiutare e non hai mai pensato che lo strumento musicale o la musica in sé fosse, di per sé, terapeutica?

E i trecentocinquanta libri scritti da medici, musicologi, etnomusicologi, filosofi, storici, antropologi, psichiatri, ecc. che hanno studiato il tarantismo dal ‘500 ai giorni nostri, ossia la più antica forma di musicoterapia esistita in Italia fino agli anni ’50 del secolo scorso, a cosa servono?

A niente?

Beh, che dire, io rimango perplesso e preoccupato perché al di là dell’interesse suscitato dall’adozione dell’accordatura a 432 Hz in alcune realtà cliniche, di fatto, a livello sociale, probabilmente, serpeggia un diffuso, impellente desiderio di trovare soluzioni immediate, spicce, che aiutino, ipso facto, a riequilibrare le disarmonie fisio-psichiche che una persona vive.

Il desidero di trovare soluzioni terapeutico-musicali veloci merita sicuramente l’attenzione e lo studio degli antropologi, degli etnomusicologi, degli etnopsichiatri, ecc. ma, in base alla mia modesta e lunga esperienza, in musicoterapia, per me, lo strumento musicale è, e riamane, il mezzo per raggiugere il fine ricercato, ossia aiutare la persona in cura.

Ricordiamolo bene: in musicoterapia lo strumento musicale è un mezzo e non un fine.

Focalizzare l’attenzione su questa esclusiva accordatura vuol dire che lo strumento, e di conseguenza la musica realizzata, sono terapeutici in sé, annullando, di fatto, la presenza fondamentale della persona che lo suona e chi l’ascolta.

Di fatto, la terapeuticità di una musica, non è data solamente dallo strumento adottato, ma è strettamente legata al rapporto intersoggettivo che la persona stabilisce con quel particolare evento musicale che, se individuato, rende possibile, a noi musicoterapeuti, di poterla aiutare a riarmonizzarsi.

In estrema sintesi, nella situazione musicoterapica la persona stabilisce dei rapporti intersoggettivi con:

  • lo strumento musicale gradito;
  • la musica gradita;
  • il terapeuta che l’aiuta.

L’intersoggettività riguarda, ovviamente, anche il musicoterapeuta nei confronti, a sua volta, dello strumento, della musica e della persona.

Sembrerà inverosimile ma tutto ciò accade, indipendentemente, dagli Hz adottati.

Non lo dico solo io1 ma lo diceva anche il M° Stìfani, uno degli ultimi musicoterapeuti del Salento che, con le sue “pizziche”, praticava la “musicoterapia domiciliare, verificando, in base alle risposte rilevate durante l’ascolto, quale “pizzica” fosse idonea ad aiutare la persona.

Concludendo, di questi tempi, è bene tenere a mente questo antico detto Hz: “È bene pensare 432 volte prima di innamorarsi di una frequenza”.

 

Giangiuseppe Bonardi

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1G. Bonardi, (2017) Meditazioni epistemologiche in musicoterapia, MiA, by StreetLib, https://www.ibs.it/meditazioni-epistemologiche-in-musicoterapia-libro-giangiuseppe-bonardi/e/9788826050942, versione cartacea, p. 45, 46.