Rito di transito

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«In un sistema culturale che considerava la malattia come colpa, essa poteva essere riscattata solo da un sacrificio, con una morte ed una rinascita simboli­che sotto gli auspici della Grande Madre, attraverso la quale si celebrava un con­cetto di vita che non disconosceva la morte, ma la inglobava come elemento essenziale del processo di rigenerazione.
L’abito bianco che indossavano di soli­to le tarantate è esso stesso indizio di passaggio di stato e di mutazione dell’es­sere, secondo il classico schema di ogni iniziazione: morte e rinascita.
Nel siste­ma simbolico relativo alla cultura della Grande Dea, il bianco infatti la identi­fica come reggitrice di morte, rigida e bianca come le ossa.
Ma la morte nel pen­siero simbolico precede sempre la vita e ogni nascita è quindi una rinascita.
Il tarantismo si configura pertanto come un rito di transito che si celebrava non a caso nel periodo del solstizio, simbolo esso stesso del confine tra il mondo dello spazio-tempo e quello dell’aspazialità e dell’atemporalità in cui era con­sentito entrare in contatto col nume1».

Maria Rosaria Tamblé


1Tamblé M. R., Tarantismo e stregoneria: un legame possibile, in AA. VV., Transe guarigione mito, Besa, Nardò (LE) 2000, p. 114.