La taranta

Valutazione attuale:  / 0
ScarsoOttimo 
Qualche anno fa, quando vidi per la prima volta “La taranta”, il documentario del registaLA TARANTA COPERTINA emiliano Gianfranco Mingozzi, dal 2009 edito dalla casa editrice leccese Kurumuny http://www.kurumuny.it/index.php?option=com_oa&view=catalogo&id=286&lang=it, rimasi profondamente turbato dalla visione della cura musicale domiciliare che narrava.
Assistere a una situazione intima che coinvolge alcune persone intente a realizzare una iatromusica è ben diverso dal partecipare a uno spettacolo odierno di pizzica in cui prevale la condivisione sociale del piacere e della gioia.
Sono due dimensioni musicali ben diverse che evocano in noi vissuti molto differenti.
Guardando “La taranta” del Mingozzi avevo la netta sensazione di essere uno spettatore privilegiato che, grazie al fondamentale audio e alla telecamera, entrava a far parte della dimensione intima e sacrale del rito terapeutico.
Durante la audiovisione, provavo quindi una coalescenza di vissuti mescolati e contraddittori che oscillava tra la gioia, lo stupore, la meraviglia di poter “toccare con mano” il rito e il dispiacere, il dolore, lo stupore e la fatica che i partecipanti vivevano, risuonando in me come in una eco.
Rigorosamente in bianco e nero, con la suadente voce fuori campo del premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo, il filmato mi riportava in un’Italia del passato, un’Italia degli anni cinquanta del secolo scorso e, fotogramma dopo fotogramma, mi rendevo conto che entravo a far parte, come ascoltatore, di un’antica forma di musicoterapia: il tarantismo.
Ero meravigliato perché non avrei mai pensato che le immagini e i suoni che vedevo e sentivo mi potessero accompagnare dentro un mondo e una realtà umana che avevo sinora solo immaginato, leggendola solo sui libri.
In cuor mio intuivo che mi trovavo alla presenza del mistero e, per questa ragione, durante la visione rimanevo in un atteggiamento di profondo silenzioso, rispettoso, ascolto.
Nel documentario, dopo il prologo iniziale, il filmato ritrae una località rurale del Salento degli anni cinquanta.
La luce accecante rischiara l’interno di un’abitazione profondamente disadorna.
La privazione, il dolore sembrano essere scolpiti non solo nelle mura e nel pavimento della casa ma anche nei corpi e nei volti delle persone riprese dal Mingozzi.
La scena iniziale della terapia musicale riprende il lento, faticoso incedere di una giovane scarmigliata donna che striscia come un animale sul lenzuolo bianco posizionato sul pavimento mentre la musica penetrante, reiterata, indiavolata risuona nella desolata stanza.
Una musica graffiante, ossessiva, carnale che, inspiegabilmente, aiuta la donna a ri-esistere come persona, cercando di ri-unire il corpo, perso nel non essere, nell’immobilità mortifera della malattia, con l’anima che si trova in alto, nell’essere nuovamente al mondo nella posizione eretta.
Tutta la ripresa cinematografica intona il movimento ritmico e musicale compiuto dalla donna che dal basso strisciare procede verso l’alto, il ri-nascere, incarnandolo e danzandolo.
Al termine della visione ho visualizzato questa relazione analogica.
La faticosa, struggente ripetuta oscillazione tra il non essere e l’essere della donna, magistralmente proposta nel filmato dal Mingozzi, è molto simile ai movimenti e alle posture assunte dai miei assistiti quando facciamo musicoterapia; per questa ragione sento questo documentario storico paradossalmente attuale.
Ovviamente osservo e ascolto il filmato con gli occhi e le orecchie del musicoterapista che è in me, cogliendo la dimensione terapeutica, giungendo ad avvertire l’odissea dolorosa che provano i miei curati, per quanto mi sia possibile farlo… umanamente.
L’associazione analogica che faccio tra la donna del filmato e i miei ragazzi è per me semplicemente naturale.
D’altro canto, grazie al documento cinematografico del Mingozzi, ho la prova che in un passato a noi prossimo sono state utilizzate le pizziche che hanno lenito la disarmonia esistenziale di molte persone e forse oggi vale la pena studiarle per comprenderle, cogliendone, per quanto sia possibile, la valenza terapeutica che le caratterizza; ciò mi dà conforto, sollievo e speranza.
Anche il pregevole volume allegato al DVD è un utile strumento di analisi del filmato e al contempo un ottimo reportage di contenuti, di persone, di personaggi e di fatti che delineano la dimensione storica, culturale e sociale cui il documentario appartiene.
 
 
Indice
 
Prefazione di Giovanni Russo
La taranta di Ernesto de Martino
 
Il documento filmato di Gianfranco Mingozzi
28 giugno 2000. In viaggio verso il Sud
29 giugno 2000. La cappella
29 giugno 1961. Il passato
24 aprile 1961. Il professore
1 maggio 1961. Il violinista
2 giugno 1961. Assuntina balla!
25 e 26 giugno 1961. Lea
27 giugno 1961. L'incidente
28 giugno 1961. La festa
3 novembre 1961. Il poeta
13 gennaio 1962. Il festival
29 giugno 1977. Sud e magia
29 giugno 1982. Ritorno alla terra del rimorso
29 giugno 2000. Galatina
30 giugno 2000. Nardò
I morti non sono morti di Ernesto de Martino
Il documentario La taranta
Il commento di Salvatore Quasimodo
La critica
Il film. Le italiane e l’amore
Il soggetto
La vedova bianca
Linchiesta televisiva sulla terra del rimorso
Il dibattito sui giornali
Documentarista e regista di Gianfranco Mingozzi
Breve bibliografia sul tarantismo a cura di Sergio Torsello
Crediti fotografici
Giangiuseppe Bonardi
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.