Neri Simona, Dalla musicoterapia al ciclone Ali Blu: storia di un strana avventura
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- Categoria: HUMANA MUSICA
- Pubblicato Mercoledì, 08 Dicembre 2010 08:30
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“Mi arrampico da secoli
Ogni parete è mia
Sfidando leggi fisiche
Paure e ipocrisia
Le difficoltà si sommano
Il mio limite qual è
Quanto potrò mai resistere
Sempre appeso ad un perché …
Aggrappato alle tue lacrime finché il tuo dolore è il mio
Per sentirmi meno inutile
Ed un po’ più umano anch’io
Sono scalatore intrepido
Che più folle non si può ...
Non ho mai posto limiti alla provvidenza io no…
Ma qualcuno dovrà crederci e sfidare la realtà
Scegliere come vivere
Imparare come si fa…
TU LO SAI PUO’ ANCORA VINCERE
IL CORAGGIO DELLE IDEE”
Renato Zero[1]
Parlare di straordinaria avventura è dire poco, il richiamo a tutto quello che sta accadendo intorno a me è grandissimo.
Le luci del palcoscenico, gli spettacoli e insieme tutta l’arte della musicoterapia che scava al fondo del sé malato, turbato, ferito, abbandonato per ridargli quella dignità persa in qualche cassetto dell’anima e che a me, da brava “apprendista stregone” di questo folle mestiere, tocca andare a cercare fra le mille pieghe del dolore, della gioia e di tutto ciò che compone il cuore dell’uomo: LE EMOZIONI.
È difficile, perché spesso le emozioni che incontro sono ferite, impaurite e se stanno nascoste dietro ai giochi rituali delle stereotipie o nelle accentuazioni delle psicosi, nel pianto e nella paura di non essere meravigliosi per ciò che si è.
Spesso le emozioni stanno bloccate dietro a ciò che una diagnosi ha catalogato in una cartella clinica diventata ghiaccio in una fabbrica di ghiaccio che non sa ascoltare le esigenze del cuore ma vede solo l’aspetto clinico, medico di chi si ha davanti.
Perché non ci si domanda: CHI SEI? Piuttosto che DIAGNOSI HAI?
Al primo anno di corso di musicoterapia incontrai un professore che, grazie al cielo, smontò il mio sogno utopico di diventare musicoterapeuta e di accettare che il nostro mestiere è fatto di persone che entrano “in gioco”; non avevo capito questo “gioco”di parole, non avevo capito perché mi sottolineava centinaia di volte che quella P scritta sulla lavagna non era per Paziente ma per PERSONA.
Persona, persona, persona… certo, mi ripetevo, lo so che cosa vuol dire persona, ma quella persona è un paziente! Errore!
Sinceramente c’è voluto un po’ di anni e tanta esperienza dentro al dolore e le emozioni, prima mie e poi di chi ho aiutato e sto aiutando.
Non si può pensare di essere in sintonia _ termine molto amato nella musicoterapia _ con gli altri se prima non si è in sintonia con se stessi. Sarei come uno strumento stonato che cerca di suonare in una orchestra, uno strumentista solo, che non sa guardare il direttore che lo dirige e oltre che essere stonato il suo strumento, lui sarà sempre fuori tempo.
Tutto questo è il percorso che ci aspetta, avere il coraggio di sapersi accordare con l’orchestra − il mondo che ci sta intorno − e avere l’umiltà di ascoltare chi dirige − chi in quel momento ti sta insegnando la via da seguire −.
Tutto questo permette di andare a fondo del proprio sé e di imparare ad accoglierci per quello che siamo perché ogni cosa che ci appartiene è data per renderci unici.
Eureka!
Avevo risolto l’enigma Paziente/Persona, la mia diagnosi fatta a me stessa mi impediva di vedere ciò che desideravo davvero al fondo del mio cuore e mi paralizzava in una vita non mia, accogliendo le mie emozioni ho cominciato a capire che l’errore stava proprio in quella proposta senza umanità data da una cartella clinica − importante per catalogare, capire, dare una posizione medica, ma inutile per accogliere perché spesso rende ciechi dal vedere chi si ha davanti −.
L’accoglienza e l’umiltà del nostro lavoro ci portano ad un’opera a volte strabiliante, a volte criticabile, ma alla fine grazie alla sua magica composizione di arte, musica e terapia riesce là dove non sempre è possibile riuscire perché sa bussare a porte che normalmente non si osa.
Oggi ho una certezza che non mi abbandona e non mi abbandonerà mai ed è quella che senza musicoterapia tutto quello che sto costruendo ora non ci sarebbe stato e che ogni volta che mi approccio a questi fantastici ragazzi − siano essi di Ali Blu o del progetto di Imola − se non avessi la certezza a cosa appartengo e cosa sono non farei davvero nulla. La musicoterapia è quindi la prima “tappa” del percorso evolutivo della persona in cui sollecito a esprimere musicalmente le emozioni.
Quando il processo musicoterapico è concluso ecco che altri percorsi sono possibili: l’animazione, l’educazione sino ad arrivare al concerto.
Per un po’ di tempo ho pensato che tutta la parte artistica in sé fosse sminuente per la musicoterapia, ma, di fatto, non è vero e per fortuna esiste e offre alla persona la straordinaria opportunità di ampliare il percorso di consapevolezza di sé, delle proprie emozioni, iniziato in musicoterapia.
Nel lavorare con i ragazzi del progetto Ali Blu a Riccione ho scoperto l’importanza dell’animazione e il potere seduttivo che essa ha su di me e su tutti i ragazzi che seguo. Se in musicoterapia le emozioni erano percepite, ora nell’animazione, le emozioni sono musicalmente condivise e canalizzate, modulate, espresse in forma di spettacolo annuale.
Non potrei fare nulla se non sapessi come usare l’arte dell’empatia e della sintonia, se non sapessi accogliere i loro silenzi lunghi “millenni” e attendere che i silenzi si trasformino in pianti o sorrisi o che rimangano ostinatamente silenzi.
Entrare nelle loro emozioni, percepire i loro ritmi e giocare con le loro musiche che per magia aprono le loro porte rendendoli semplicemente unici.
Così vedo nuovi ragazzi che nascono e che prendono in mano la loro vita, come S. che canta con una voce splendida, non chiedeva altro che essere ascoltata nel suo desiderio e ora lo fa, o D. che balla alla Michael Jackson ed è proprio bravo o B. che afferra in mano le sue paure per farne il suo baluardo di forza e così potrei citarli uno ad uno.
Abbiamo giocato insieme costruendo un rapporto di fiducia fatto di musica, ritmi, sintonia, armonia, empatia che ha portato a toccare LE EMOZIONI di ognuno di loro, a toccare le mie emozioni e insieme è nato qualcosa che oggi è richiesto non più solo come piccolo saggio annuale.
L’impresa Ali Blu sta decollando nel mondo del teatro con incontri importanti ed è una cosa unica perché non sono più le cartelle cliniche ad emergere − cosa che avrebbe chiuso ognuno di questi ragazzi in un lager dilagante − ma sono i loro Sé ricchi di tutto ciò che hanno da gridare al mondo.
E così l’avventura parte!
“Sarà che noi due siamo di un altro lontanissimo pianeta.
Ma il mondo da qui sembra soltanto una botola segreta.
Tutti vogliono tutto per poi accorgersi che è niente.
Noi non faremo come l’altra gente, questi sono e resteranno per sempre...
i migliori anni della nostra vita!”
R. Zero[2]
Oltre a pensare che al momento Ali Blu abbia la priorità, evidentemente, non posso però dimenticare i ragazzi di Imola che devono proseguire e così sono contenta che musicoterapia e animazione rimangano a convivere a tempo pieno dentro di me, non potrei “vivere” senza tutto questo.
Ci sono volte che mi chiedo se faccio bene, se è giusto quanto sto facendo o se mi sto solo illudendo… ma poi arrivano risposte di stima e la fiducia dei colleghi mi fa proseguire a testa alta.
Non posso dimenticare e non voglio dimenticare che ciò per cui siamo chiamati nel nostro lavoro è quello di accogliere e ridare dignità a quei Sé che troppo spesso, a causa della patologia e della società, vengono chiusi e nascosti nei meandri degli ospedali e di tutto ciò che si definisce terapeutico (medico clinico), sono felice di rappresentare una opportunità in più attraverso il nostro lavoro.
A questo proposito voglio parlare di quello che sta succedendo con alcuni ragazzini di Imola e in modo particolare con L. un bimbo affetto da paralisi cerebrale infantile. Arriva da me con una cartella clinica che lo colloca tra i disabili gravissimi, è già un miracolo vedere i suoi occhi brillare.
La madre a pezzi, il padre ha abbandonato ogni speranza e poi trovano qualcuno che sorride al piccolo e gli parla come si parla a un bimbo normale.
Finalmente metto in atto quella P che ha torturato i miei anni di corso e scopro la persona in carne e ossa davanti a me.
Lo stupore, è che L. reagisce immediatamente allo sguardo e alle proposte dimostrando chiaramente i suoi desideri e come una bambola con le pile scadute una volta cambiate comincia a cantare… a modo suo.
Pur essendo molto compromesso a livello vocale, L. dice mamma, papà, sì e no e poche altre cose.
La cosa che colpisce di più è che quel che canta lo canta intonato e quando è alla tastiera suona le note della canzone nella giusta tonalità e mi sgrida se sbaglio!
Nel corso dell’anno scorso si è creata un’équipe apposita per L., siamo stati fortunati.
L. viene seguito privatamente con la fisioterapia dalla mia collega che, condividendo il mio stesso punto di vista, in sinergia, empatia e confronto continuo si è operato nel rispetto di L., cercando di accogliere le sue esigenze e come acrobati del circo di cogliere quelle emozioni che cadevano un po’ di qua e di là e poi, da abili pittori, riprodurre un quadro vivo e colorato fatto di musica, movimenti contorti, piccoli gridi tutti mirati al gridare: IO SO CHI SONO!
È bello vedere come questo bambino recuperi così velocemente fino a farci pensare che dentro a questo corpicino non ci sia nemmeno un ritardo mentale.
L. sta imparando a camminare con uno speciale attrezzo e con un motorino, in cui resta in piedi, perlustra tutta la casa, cerca esplora e soprattutto impara ad usare lo stereo e ascolta la musica che gli piace intonandola alla tastiera.
L. ha il controllo delle mani, del busto e la testa si mantiene eretta… in teoria non dovrebbe fare tutte queste cose ma ha talmente volontà e dedizione da commuovere. Due mesi fa volevano togliergli il cibo e intubarlo ma ha dimostrato con tutte le sue forze che sa masticare e che ama la pizza e la pasta asciutta non tritate e nemmeno liquide…
Tutto questo solo perché qualcuno lo ha accolto nella sua domanda?
L’uomo è qualcosa di meraviglioso e profondo e oggi sto lottando perché a L. venga insegnato a leggere e scrivere, − tramite computer ovviamente − dimostra che ne ha voglia e non è giusto che la maggioranza dei servizi lo tenga bloccato alla linea di partenza.
Dopo mesi di lotte finalmente comincerà un percorso di logopedia, mentre a scuola rimane ancora vincolato a ruolo troppo piccolo tanto da farlo protestare se viene portato via dalla classe durante una lezione che gli piace.
Ieri entrando nel setting si è seduto ha indicato lo stereo e chiesto la musica che voleva ascoltare.
Mentre cantava non ha smesso un attimo di guardarsi intorno, cercava il suo gioco preferito che non vedeva perché io l’avevo nascosto di proposito per stimolarlo.
Il gioco in realtà era ben visibile e quando lo vede mi chiede a gesti e versi di averlo. Abbiamo pure discusso perché sbagliavo le parole della canzone e mi chiudeva la bocca con la mano.
Oggi mi ha sorriso perché ho imparato le parole della canzone − lui adora Renato Zero e odia che si sbaglino i testi nel cantarlo: ascolta le parole? −.
Stupita, meravigliata commossa… penso di essere fortunata a fare quanto amo di più.
A volte vorrei che per tutti fosse così evidente e quanto di grande passa attraverso le nostre mani.
Spero che la musicoterapia diventi sempre più per noi, professionisti del mestiere, STUPORE, SINTONIA, ARMONIA, emozionandoci con chi abbiamo accolto per rendere quel concerto un momento unico.
Simona Neri
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[1] R. Zero, il coraggio delle idee dall’album I miei numeri ed. Sony Music 2000.
[2] R.Zero , I migliori anni della nostra vita , Sulle tracce dell’Imperfetto Sony Music 1995.