Converso Astrid, Giorgia ed io: emozioni e sentimenti… vissuti sulla propria pelle
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- Categoria: HUMANA MUSICA
- Pubblicato Sabato, 30 Gennaio 2010 09:48
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Con “i miei ragazzi”, per tutto il periodo del trattamento musicoterapico, ho vissuto stati emotivi molto intensi che non si fermavano al singolo momento della terapia, ma che mi accompagnavano durante tutto l’arco della giornata, a volte, fino alla seduta settimanale successiva.
Sembra paradossale, ma grazie a loro ho imparato molto e mi hanno insegnato qualcosa di prezioso: ascoltarmi, ascoltare, percepire gli stati emotivi dell’altro, ma nello stesso tempo a capire anche i miei stati emozionali con l’altro.
Teoricamente conoscevo il significato della parola “emozione” e del vocabolo “sentimento”.
Ciò che non sapevo era quanto sia difficile ascoltare, ossia accogliere le proprie emozioni e i propri sentimenti.
È grazie a Giorgia[1] che ho avuto l’occasione di vivere e riflettere, in modo approfondito, in merito a questo tema.
Giorgia
Giorgia è una donna di quarant’anni.
Piccola di statura, robusta, occhi nerissimi dallo sguardo molto intenso e movimenti corporei ripetitivi, stereotipati, precisi, perfetti come se fosse un’esperta contorsionista.
Primogenita di una famiglia di origini umili, il padre è deceduto e la madre (a detta della psicologa del centro) vive un intenso conflitto, un attaccamento simbiotico: si lascia manipolare, la circonda di attenzioni per poi disinteressarsi completamente della vita “comunitaria” della figlia, si rende disponibile ai colloqui con la psicologa, ma poi non si presenta.
La cartella clinica riporta: “Trisomia 21, con medio ritardo cognitivo, non parla (se non è arrabbiata), psicosi simbiotica autistica.”
Fin dalle prime sedute capisco che con Giorgia non sarebbe stato un incontro facile, per portarla nel contesto musicoterapico dovevo escogitare sempre qualcosa.
Non mi porgeva la mano, girava la testa dalla parte opposta alla mia e non si faceva toccare.
Con l’incitamento da parte degli educatori e la mia insistenza nel chiamarla e nel spiegarle che doveva venire con me, alla fine Giorgia si alzava dalla sedia e mi seguiva sempre con sguardo sfuggente con la testa piegata da un lato.
Solamente, dopo un lungo periodo durato sei mesi, sentito da me come interminabile, Giorgia mi permise di toccarla, di darle la mano e di salire nell’ “habitat” musicoterapico senza indugi.
Per tutto il primo ciclo di sedute (ventiquattro incontri a cadenza settimanale) ero oppressa dall’idea di dover fare subito qualcosa per lei, dovevo in qualche modo aiutarla e sentivo che dovevo farlo subito.
Lei invece rimaneva imperturbabile, in quel suo continuo dondolamento stereotipato, mi guardava come se fossi io la persona bisognosa di cure.
Ho suonato, cantato, dondolato con lei, parlato, scelto e profuso musiche di ogni sorta ma, proseguendo gli incontri, più mi accorgevo che ero io a voler riempire i silenzi, a colmare il vuoto, a voler in qualche modo smuovere la sua “stasi”.
Lei, al contrario, continuava a rimanere zitta, all’apparenza imperturbabile, sapeva solo fissarmi e dondolarsi, contorcendosi ogni tanto sulla sedia, assumendo, con le gambe, posizioni impossibili, non interrompendo mai, il suo ossessivo ricorso alla toilette.
Tutto questo si protrasse nel tempo, per più di dieci mesi.
Non sapevo cosa stavo facendo e dove stavo andando.
Dopo le vacanze natalizie ripresi il secondo ciclo di trattamento formato anch’esso da ventiquattro sedute.
Con il ritorno dalla pausa natalizia trovai Giorgia diversa.
Nell’ambiente musicoterapico saliva spontaneamente, e per la prima volta, da quando avevo iniziato a lavorare nella struttura, Giorgia parlò.
Per tutta la seduta parlò sottovoce, raccontando fatti presumibilmente inventati, riportando frasi e ridendo.
Com’era possibile che Giorgia, la quale non aveva mai pronunciato parole se non per proferire bestemmie, parlasse con me?
Ero in panico più di prima.
Cos’era stato l’elemento scatenante?
E perché solo per una seduta?
Non potevo lasciare che fosse un caso isolato dovevo subito agire in modo che ci fosse un prosieguo.
Decisi di smettere tutto quello che stavo facendo, come strategia d’intervento, e stabilii una nuova linea d’azione.
Era rischioso, ma decisi di tentare, mi limitai a copiarla a specchio, concentrandomi sui suoni ambientali e su quelli da lei prodotti, eliminando l’ascolto di brani musicali.
L’attività era spossante.
Giorgia non comunicava e continuava il suo maniacale dondolamento corporeo, inoltre come meccanismo difensivo continuava ad usare il pretesto della toilette, anche se non rifiutava mai l’ambiente musicoterapico.
Mi sentivo inadeguata per il mio compito, alla fine delle sedute oltre ad avere dolore fisico mi sentivo debilitata nel mio profondo, ma dovevo in qualche modo continuare non potevo e non volevo “gettare la spugna”.
Mi ritrovavo a non parlare più, riproducevo tutto quello che faceva lei senza, apparentemente, ottenere un qualche minino risultato.
Finché un giorno Giorgia decise di parlare, di ridere e di guardarmi mentre emetteva, delicatamente alcune parole:
“… DORMIRE, DORMIRE, DORMIRE”...
“… PARLARE, PARLARE, PARLARE”...
“... MANGIARE, MANGIARE, MANGIARE”.
Quelle parole erano l’eccezionale comunicazione, il portato del suo mondo interiore.
Risuonavano nella mia mente come fossero tante terzine. 

Le cadenze che usava, in modo bisbigliato, mi ricordavano un maestro d’orchestra che dirige, in silenzio, il passare del tempo delle sue azioni quotidiane.
Mi stava ripetendo parole ascoltate chissà dove o erano uno spiraglio di comunicazione?
Le emozioni che ho provato sono state molteplici e contrastanti tra loro.
Da allora, nell’arco delle ventiquattro sedute, Giorgia parlò solamente in sei incontri, ma per gli educatori, per la psicologa coordinatrice e per la sottoscritta è stato veramente un punto di arrivo, un contatto emotivo importantissimo.
In questa prospettiva Giorgia mi ha permesso di compiere alcune riflessioni inerenti, in particolare, i miei vissuti.
Le emozioni, per me, sono stati dell’anima.
Improvvise fin che vogliamo rispetto ai sentimenti, ma sempre espressivi della nostra interiorità e che, come tali, collimano con la vita stessa, ci accompagnano fin dal nostro primo stare al mondo.
Le emozioni si configurano, dunque, come stati affettivi intensi, fondamentalmente transitori, ma specchio fedele della nostra parte più intima e, quindi, più fragile, vulnerabile.
Le emozioni e i sentimenti come esseri umani li percepiamo sempre, in continuazione, ci siamo abituati.
Il cuore che pulsa, le mani sudate, il respiro affannato, il tremore degli arti che accompagna, ad esempio, sensazioni di intensa paura, sono correlati fisiologici molto evidenti dell’emozione.
L’emozione, specialmente se intensa, può infatti provocare alterazioni somatiche diffuse, sono quindi eloquenti ma parziali traduzioni esterne di un “dentro” nascosto, segreto, appunto intimo.
Prima del trattamento avevo qualche difficoltà a percepire e discriminare i miei sentimenti e le mie emozioni, forse perché non mi sono mai soffermata a distinguere ciò che provavo.
Ho sempre fatto fatica a raccontare ad altri ciò che sentivo. Descrivevo con dovizia di particolari ciò che mi succedeva, ma poi era molto difficile parlare delle emozioni che provavo di fronte ad un particolare avvenimento.
In questi due anni di trattamento con Giorgia ho imparato veramente cosa vuol dire provare un’emozione, capirla, analizzarla e… accettarla.
Grazie ai silenzi di Giorgia, ai suoi sguardi, alle sue stereotipie, sono entrata in un “altro” mondo, nel suo mondo, dove le regole e le logiche erano dettate da lei e tutto sembrava alterato.
Io ero lì per lei, ero lì per accogliere e migliorare il suo disagio, ma i miei stati d’animo i miei disagi da chi erano “presi in consegna”?.
Sempre, secondo la metodica Bonardi[2], dovevo riportare su alcune griglie i miei vissuti ed è stato molto faticoso.
Ho imparato a concentrarmi su ciò che provavo per poter capire, anche se lontanamente, cosa provasse chi avevo di fronte.
Non a caso mi sono chiesta se io come terapista provassi paura, per esempio, per l’inizio di un nuovo lavoro o per l’inizio di un trattamento con una “nuova” persona e mi rendessi conto e accettassi il mio stato d’animo, la persona che ha bisogno di cure come vivrà e quale sarà il suo stato d’animo?
Se capisco e accetto il mio stato d’animo forse posso pensare che la persona possa provare un sentimento altrettanto spiacevole.
Quando suonavo, cantavo, e inondavo la stanza di suoni e musiche, lo facevo per coprire il mio disagio non quello di Giorgia.
Quando Giorgia scappava dalla stanza e si rifugiava in bagno, provavo mille e più emozioni: inadeguatezza, disorientamento, impotenza, perplessità, paura, tensione, rabbia, perché pensavo di non essere all’altezza del compito.
Quando però al ritorno dalla pausa natalizia Giorgia ha parlato, le mie emozioni sono state di: adeguatezza, benessere, intesa, gioia, sorpresa, soddisfazione.
Emozioni molto intense, per poi tornare ad uno stato agitato e confuso quando si è richiusa a riccio e ho dovuto imitarla a “specchio”.
Scrivere su un foglio i miei sentimenti e le mie emozioni però mi ha aiutata.
Tutto questo mi ha portato a riflettere su quello che ho vissuto e rielaborato.
Non riesco a fare una distinzione netta tra sentimenti ed emozioni, a capire quali siano sentimenti e quali invece siano emozioni, forse perché credo che non si possa fare una distinzione.
Sono tuttavia rimasta piacevolmente stupita, di come in una seduta si possano vivere più stati d’animo contemporaneamente e in contrasto tra loro.
Come ho già esplicato, penso che le emozioni siano istantanee, ciò nonostante, fugaci.
I sentimenti all’opposto, mutano, cambiano, ma permangono; una volta ancorati non se ne vanno, rimangono all’interno, nell’animo della persona e diventano un tutt’uno con essa.
Sono arrivata alla conclusione che poche emozioni si tramutano in sentimenti.
Dopo aver riflettuto ampiamente su tutto il mio percorso svolto con Giorgia, le definizioni teoriche, riportate da Devoto/Oli (1989) di emozione, intesa come “… vivo ed intenso turbamento, provocato da commozione o da apprensione”[3] e di sentimento considerato come “… momento della vita interiore pertinente al mondo degli affetti e delle emozioni”[4], mi sono sembrati poco esaustivi.
Grazie all’esperienza musicoterapica, presa in esame, sono riuscita a capire, ciò che P. E . Ricci Bitti (1998) afferma in merito all’emozione e al sentimento.
“... la tradizione filosofica da Platone in poi ha sottolineato l’importanza dell’esperienza e del vissuto emotivo, di come cioè le emozioni siano elaborate mentalmente e trasformate in affetti, sentimenti…”. “… si è cercato di evidenziare come nel rapporto interattivo tra l’essere umano, i suoi simili e, in generale, il mondo esterno vi sia un flusso continuo di emozioni, anche contrastanti fra loro, che danno vita a passioni, sentimenti i quali segnano in maniera duratura l’esistenza individuale; dall’altro, si è tentato di isolare i singoli episodi emotivi, analizzandone soprattutto le manifestazioni espressivo - motorie… ”[5].
Quanto sopra riportato si avvicina molto a quello che ho provato e ho “toccato con mano”.
La teoria serve per capire alcuni concetti, ma credo che anche la teoria abbia dei limiti poiché “se non provi… non potrai mai capire” e questo è successo a me, rapportandomi con Giorgia.
Lei che, con il suo strano modo di interagire con l’ambiente e gli altri, mi ha aiutata in una sorta di “lettura interiore”.
Tutti i sentimenti che ho vissuto, provato e cercato di analizzare, alla fine del percorso si sono tramutati in un sentimento sicuramente di positivo benessere.
In due anni di trattamento con una persona con gravi difficoltà comunicative e relazionali, sono riuscita a “regolare” i miei disagi e i miei entusiasmi.
Un risultato finale, quest’ultimo, certamente per me, soddisfacente e di fondamentale importanza.
Astrid Converso
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[1] Nome di fantasia, in ottemperanza della legge della privacy.
[2] Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pp. 40-42.
[3] G. Devoto G. C. Oli “Vocabolario della lingua Italiana” Edizione Euroclub Italia 1989 p. 395
[4] Op. cit. p. 1073
[5] P. E. Ricci Bitti “Regolazione delle emozioni e arti-terapie” ed. Carocci, Roma 1998 p. 15.