Bonomi Carla, Io e Costantina: diario di un’esperienza musicoterapica in ambito psichiatrico

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L’esordio dell’esperienza musicoterapica
Tra le innumerevoli persone presenti nell’ente psichiatrico, il Primario del reparto mi propose di intervenire con Costantina[1], in considerazione del fatto che era la più giovane ospite del reparto. Pur riconoscendo alla musicoterapia risultati positivi, la proposta d’intervento mi fu affidata con un atteggiamento di “sfida”.
In tal senso il Primario mi disse laconico: “È  un caso difficile, vediamo cosa si riesce ad ottenere con la musicoterapia”. 
Sebbene un po’ preoccupata, ero contenta poiché finalmente potevo vivere, “mettere in pratica”, ciò che avevo solamente studiato.
Quale musicoterapia?
Nel realizzare la prassi musicoterapica ho dovuto, giocoforza, scegliere, con difficoltà, ma in ogni caso scegliere, un orientamento epistemologico che fosse per me motivo ispiratore del mio modo di “fare” musicoterapia.
La lettura di K. Bruscia[2], di P. L. Postacchini[3], E. H. Boxill[4] e, in particolare, di G. Bonardi[5] ha influenzato il mio modo d’agire, aiutandomi a scegliere, un metodo, una strada da percorrere.
Con fatica ho scelto, come modello teorico di riferimento, la metodica musicoterapica relazionale, ideata da Giangiuseppe Bonardi.
La scelta è stata motivata dal fatto che potevo avvalermi di una metodica, utilizzata da un decennio con persone aventi ritardo mentale grave e gravissimo, applicabile alla situazione a me prospettata.
Sinteticamente, la metodica procede teoricamente da una definizione del concetto di musicoterapia dal quale ne consegue l’articolazione  di  tre fasi prassiche ben definite ed è  altresì corredata da strumenti di rilevazione e di valutazione dell’intero processo musicoterapico (schede di rilevazione).
In questa prospettiva, per Bonardi, il termine musicoterapia indica: “La ricerca, l’osservazione, l’analisi e l’adozione del sonoro e del musicale appartenente al soggetto (musica) al fine di aiutarlo (terapia) ad esperire una “ nuova” situazione d’ascolto, non solamente incentrato sul di sé, ma sui poli ( sé e l’altro da sé) del processo relazionale”[6].
Il processo musicoterapico è quindi  articolato in tre fasi: “la ricerca, l’osservazione ambientale e musicoterapica, la prassi individuale.”[7]
Nel realizzare l’intervento musicoterapico, non ho applicato pedissequamente il metodo, ma ho cercato di assimilarlo,  adattandolo, per quanto fosse possibile, al mio modo d’operare.
Un’esperienza musicoterapica ampiamente caratterizzata dalla dimensione  sistematica, evolutiva, dinamica e vitale del processo terapeutico intrapreso. In questa prospettiva gli aspetti tecnici dell’azione musicoterapica, in particolare le finalità e i parametri (gli indicatori) di ogni fase, traspaiono dalla lettura dell’esperienza, fornendo al lettore le chiavi interpretative del lungo, biennale, storico, processo terapeutico.

Carla Bonomi

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[1] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy.
[2]Bruscia Kenneth (1993), “ Definire la musicoterapia”, Ismez, Roma.
Bruscia Kenneth (1995),  “Casi clinici di musicoterapia” (bambini ed adolescenti), Ismez, Roma.
Bruscia Kenneth (1995), “Casi clinici di musicoterapia (adulti)”, Ismez, Roma.
[3]Postacchini Pier Luigi, Ricciotti Andrea, Borghesi Massimo, (1998),
“Lineamenti di musicoterapia”, Carocci, Roma.
[4]Boxill Edith Hillman, “La musicoterapia per bambini disabili”, Ed. Omega, Torino, 1991.
[5]Bonardi Giangiuseppe, (2002), “Osservazione e prassi in musicoterapia”, Dispensa, Corso Quadriennale di Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi.
[6] Bonardi Giangiuseppe, (2002), “Osservazione e prassi in musicoterapia”, Dispensa, Corso Quadriennale di  Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi, p. 6.
[7] Bonardi G. op. cit. p. 6.