Converso Astrid, Dialoghi ‘silenziosi’ in musicoterapia tra me ed Anna
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- Categoria: ESPERIENZE
- Pubblicato Martedì, 23 Febbraio 2010 09:12
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“E se fosse nella pausa e non nel fischio che i merli si parlano?
Parlarsi tacendo o fischiando è sempre possibile;
il problema è capirsi”[1]
Il silenzio è un segnale indicatore che mostra la via di una realtà profonda, diversa ed esterna che, il suo contrario, il chiasso, ignora e copre.
Il silenzio può portare sollievo o depressione, e a seconda dei casi, può essere ricercato o volontario, o può essere subìto contro voglia.
Nel silenzio la mente pensante non trova un vero riposo e nell’assenza di una maniera particolare di autocontrollo, i sentimenti sono agitati e confusi.
Con Anna (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy)[2] è capitato proprio questo: IL SILENZIO.
Davanti a questa caratteristica che Anna usava nel rapportarsi con l’altro da sé, mi ha posto di fronte ad una serie di domande.
Il silenzio è difficile interpretarlo, è difficile spiegarlo, dice tante cose profonde e sincere ma allora come ascoltarlo?
Che fare?
Che cosa significano questi momenti di silenzio?
E, cos’è in fondo, il silenzio?
Anna lo usava come meccanismo di difesa o era un suo modo per comunicarmi qualcosa?
Voleva comunicare disagio, rilassamento, o bisogno?
Anna
Alta, occhi profondi e molto grandi, Anna era una ragazza di 26 anni, l’ospite più giovane della comunità.
I genitori le tagliavano i capelli molto corti per evitare che lei li strappasse dalla cute.
Leggendo la cartella clinica ho scoperto la sua diagnosi patologica: “Ritardo mentale da cerebropatia perinatale, anomalie del comportamento, problemi di respirazione”.
Fin nel primo periodo d’osservazione, Anna mi incuriosiva. Occhi quasi sempre e apparentemente persi nel vuoto, varie e molteplici stereotipie quali: pulirsi la bocca con le dita della mano tese passando per il naso, tirando fuori la lingua; cercare di strapparsi i capelli; accavallare, con scatti agitati, le gambe. Cercava sempre di intervenire nei discorsi altrui, parlando di tutt’altro, ma considerato il fatto che aveva difficoltà a parlare, poiché non riusciva a pronunciare in modo corretto le parole, veniva zittita e lasciata in disparte.
Anna, in quelle occasioni, parlava da sola, sperando che qualcuno le prestasse attenzione, oppure cadeva in un silenzio che poteva durare tutta la giornata.
Osservandola, ciò che mi trasmetteva era un bisogno particolare di attenzioni che evidentemente non riceveva dagli altri ospiti.
Perplessa e intimorita, iniziai il mio percorso con Anna, chiedendomi se mi avesse sommerso di parole o se preferisse parlare anziché suonare gli strumenti proposti.
La prima volta che Anna entrò nell’habitat musicoterapico apparve disorientata, si sedette guardandosi attorno e attese istruzioni.
Le dissi che poteva suonare tutti gli strumenti, senza chiedere il permesso. Iniziò subito a parlare, balbettando contenuti senza senso, raccontando della carota che portava al suo cavallo... dei lavori di taglio e cucito o di strani racconti riguardanti un corvo nero che si appoggiava su una tomba.
Lo strano eloquio era intervallato dal suono di un piccolo sonaglio verde, formato da cinque campanelle, che teneva gelosamente tra le mani.
All’inizio rimasi sconcertata, ma avendola gia osservata all’interno della vita collettiva della comunità ed essendo consapevole del suo modo di agire, mi posi in ascolto, sebbene, il più delle volte, la sua comunicazione fosse rivolta verso la finestra.
Questo “modus operandi” si protrasse per circa metà anno, continuando ad usare molto il linguaggio verbale, e poco gli sguardi diretti, il tutto intervallato dall’incessante suono dei campanellini, suo strumento preferito.
In seguito iniziò a diminuire il tempo delle conversazioni, ma permaneva la voglia di suonare, servendosi dello stesso strumento suonandolo continuamente, ad eccezione di quando articolava parole.
Perdurava lo sguardo evasivo, stando molto attenta a dirigerlo nel modo giusto, ossia rivolgendolo verso sé.
Progressivamente iniziò a diminuire il tempo destinato alle comunicazioni verbali e iniziò “il lungo inverno”.
Il lungo inverno di... Anna
Anna cessò di parlare, di suonare, e seduta sulla sedia, iniziò a guardarmi, tenendo la testa inclinata su un lato.
In un secondo momento, si allontana di scatto o accavalla le gambe in modo agitato a volte ridendo sommessamente, altre volte con lo sguardo adirato come se avesse appena ricevuto un rimprovero.
La chiamavo, provavo a suonare qualche strumento, ma lei non dava alcun tipo di risposta.
Quel silenzio era fastidioso, non riuscivo a sopportarlo, e non capivo il perché di tanto malessere.
Forse avevo paura di non essere all’altezza del compito? Pensavo di non voler ammettere, a me stessa, che il cambiamento di Anna
lo stavo vivendo come un fallimento professionale ed emotivo? Se Anna era cambiata era per il mio intervento erroneo.
Se il silenzio mi dava tanto fastidio era perché non riuscivo a sopportare emotivamente lo stato di disagio di chi mi trovavo di fronte?
Più cercavo di capire il vero perché di tanto fastidio, più provavo irritazione per Anna che continuava a stare in silenzio, dondolandosi o guardandosi attentamente le mani, i piedi o qualsiasi altra parte del corpo.
Qualche volta, quando andavo a prenderla, la trovavo con i compagni intenta a ridere, sorrideva anche a me ma, appena saliva nella stanza, iniziava il mutismo.
Anna continuava a non rispondere agli stimoli esterni; rimaneva seduta con le sue piccole stereotipie e non comunicava.
Quando la interpellavo, cantilenando il suo nome, si girava, mi guardava per pochi istanti e poi sorrideva, strizzando gli occhi, in caso contrario continuava a fissarmi con occhi spenti e con aria interrogativa.

Non era abbastanza, non potevo accontentarmi solo di questo. Il cambiamento importante arrivò dopo circa due settimane di autoanalisi introspettiva personale e di “penose” sedute di supervisione.
Ormai non sapevo da che parte iniziare; ero troppo concentrata su me stessa, sui miei limiti e i miei bisogni, per poter concentrarmi su Anna.
Quel giorno Anna arrivò arrabbiata e scontrosa... era di pessimo umore. Gli stati d’animo di Anna erano altalenanti ogni giorno, ma erano sempre presenti sia la rabbia che la gioia.
Prima di allora non aveva mai manifestato un solo stato emotivo, oltretutto, così ben marcato.
Pensai che potevo lavorare ben poco con una persona scontrosa e arrabbiata; in ogni modo ero troppo concentrata sul mio stato emotivo per poter riuscire a capire i suoi stati d’animo. Sempre più sconfortata decisi di rimanere anch’io in silenzio; non avevo voglia di fare niente, mi sentivo sconfitta, senza forze.
Rimanemmo per quarantacinque minuti in silenzio, guardandoci reciprocamente.
Anna era molto incuriosita dal mio silenzio.
Nonostante tutto quel silenzio mi giovò.
Non sapevo darmene una ragione ma, al termine della seduta, mi sentivo meglio.
Decisi di continuare su questa linea fino alla chiusura della comunità, prima delle vacanze estive.
Ormai mancavano poche sedute ma mi permisero di capire, anche se lontanamente, il mondo di Anna.
In silenzio era più facile osservare il suo comportamento, i suoi atteggiamenti e i suoi sguardi.In silenzio si percepisce il respiro dell’altro, il battito cardiaco, i ritmi corporei.
Continuavo ad osservarla e, per quanto mi fosse stato possibile, cercavo di eseguire le stesse sonorità che produceva, per farle capire che ero con lei, che la stavo ascoltando.
Il suo sguardo mutò, iniziò a guardarmi più spesso, e a reggere il mio sguardo.
Il silenzio era il nostro mezzo comunicativo, riuscivamo a “comunicare” guardandoci o riproducendo gli stessi suoni o gesti.
Al termine delle sedute con Anna mi sentivo sempre rilassata: mi sentivo bene.
Lentamente comprendevo che ero riuscita ad entrare in sintonia con lei.
Poco alla volta, tornando dalle vacanze estive, Anna cominciò nuovamente a suonare e a parlare, non come prima in modo continuo, ma usando la parola per formulare frasi che avessero senso e iniziando a rispondere a domande che le ponevo su quello che mi raccontava.
In un’occasione riuscii a capire che il corvo nero di cui mi parlava tanto era il protagonista di un film che soleva guardare spesso.
Inoltre iniziò a pronunciare: “… Guarda che io ho il cuore fragile…” “… Sono fragile…”.
Ero forse riuscita a raggiungere in qualche modo il suo intimo desiderio di essere protetta e salvata?
In una delle riunione d’èquipe l’educatrice di riferimento mi fece notare quanto fosse cambiato il modo di relazionare di Anna; appariva più rilassata nei rapporti con gli altri e iniziava ad aspettare il proprio turno per prendere parola.
Dovendo fare un bilancio finale, allo stato attuale delle cose c’è ancora molto lavoro da fare, ha ancora “ricadute silenziose” e, a volte, non vuole proprio suonare.
Utilizza per pochi secondi il primo strumento che le capita vicino, per poi abbandonarlo, ma sono contenta di essere riuscita a capire in parte il suo mondo e di aver accettato il silenzio come mezzo di comunicazione speciale.
In ogni seduta con Anna è come se ascoltassi le note del mio e del suo silenzio… forse è musica?
Dovendo riflettere su tutto il caso, in verità ritengo che il silenzio sia, per l’appunto, silenzio e diviene positivo solo quando lo si vuole, ossia quando si ha voglia di rivolgere l’ascolto nei riguardi di se stessi.
Dipende dal valore che gli si dà: da qui dipende la contentezza o l’assillo che proviamo.
Quando nella sala regna quel silenzio che, in fondo, é la cosa più bella di tutte, l’emozione di chi sta in ascolto si espande e ciò è bello e veramente importante.
Così è per me.
Bisogna volere fermamente il silenzio, anche a prezzo di qualche sacrificio, allora lo si ha.
Chi non ha sperimentato almeno una volta il valore del silenzio non può comprendere come se ne possa star senza.
Tuttavia il silenzio non deve essere unicamente esteriore, come luogo dove nessuno parli e nessuno si muova.
Tutto ciò, infatti, si può benissimo avere con il rumore nell’animo.
Il reale silenzio implica che i pensieri, i sentimenti e il cuore siano in pace.
Il reale silenzio deve dominare lo spirito e penetrare sempre più nel profondo dell’animo, rispecchiandolo.
Se poi si cerca di creare questo silenzio interiore, s’intravede subito che non è impresa immediata.
Non basta quindi volerlo ma, lo si deve esercitare.
Penso che il silenzio sia essenzialmente l’altra faccia della medaglia, non solo nella comunicazione, ma più in generale rappresenta un elemento indispensabile nella percezione sensoriale poiché, nel silenzio, i sensi si acuiscono maggiormente.
Se è vero che il suono fa parte della vita ed è indispensabile, esso si oppone con forza al silenzio.
Ma è anche vero che quest’ultimo è la base su cui esso si dispone.
Sia le parole sia il silenzio trasportano informazioni precise, realizzate con l’ausilio della comunicazione non verbale, vale a dire con quel vasto bagaglio di movimenti, gesti ed espressioni di cui il corpo umano dispone.
La postura, l’atteggiamento e i movimenti integrano il silenzio con tutta una serie di messaggi secondari.
A volte, come nel caso di Anna, il silenzio rappresenta, una strategia comunicativa che, dal punto di vista di chi la impiega, comporta una controllo quasi inconscio ed impulsivo, mentre, dal punto di vista di chi la rileva od osserva, richiede uno sforzo impegnativo per evitare di mal interpretarla.
Penso che il silenzio sia uno strumento che, se mal gestito e mal controllato, può produrre effetti negativi.
Esso rappresenta una comunicazione nella stessa misura in cui lo è una discussione animata e, saperla usare nel modo corretto, non è da tutti. Il silenzio rappresenta quindi, paradossalmente, una grande comunicazione.
Nel silenzio, i nostri sensi sono concentrati su quello che esprime il corpo, quando fa affiorare l’anima e non la parola. Si può comunicare col nostro silenzio, quando rispecchiamo col nostro corpo la comunicazione corporea che l’altro esprime in modo non verbale.
Questo ho fatto con Anna e penso mi abbia aiutato molto nella relazione.
Sicuramente sono ancora lontana dal saper usare bene questo “strumento di comunicazione”, ma credo di aver acquisito che, a volte, si dicono molte più cose con il silenzio che non in un mondo inondato da suoni.
Astrid Converso
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[1] Padovani A., Bottero E., Pedagogia della musica: orientamenti e proposte didattiche per la formazione di base, Guerrini e associati, Milano, 2000.
[2] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy.