Panebianco Maria Carmela, In musicoterapia la musica media le emozioni

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Il  lavoro terapeutico indirizzato all’apertura di canali comunicativi ha determinato miglioramenti sul piano cognitivo, affettivo, così Michele (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy), inizialmente chiuso nelle stereotipie e incapace di comunicare adeguatamente i propri bisogni e le proprie emozioni, ha raggiunto adeguati risultati sul piano del funzionamento personale e sociale.
Ha iniziato a maturare una più strutturata percezione del proprio sé, oltre che dell’immagine corporea: sia nella stanza di musicoterapia che nella scuola, egli si è gradualmente compreso che in quel luogo (spazio) e in quelle ore (tempo) andava per svolgere determinate attività.
A conclusione di questo percorso terapeutico, ha manifestato maggiore autonomia di orientamento spazio-temporale, una maggiore percezione in merito agli stimoli presentati e l’attivazione di semplici modalità di comprensione e apprendimento.
Se all’inizio del percorso i miei tentativi di comunicare con Michele non sono riusciti, nel corso del trattamento le produzioni sonore e/o musicali di entrambe hanno rivestito connotati emotivi che riguardavano me e lui, le emozioni e i vissuti condivisi nello spazio tra  di noi.
Egli è riuscito non solo ad identificare le parti del corpo, ma ha iniziato a relazionare con l’ambiente esterno e con gli altri, sperimentando una forma di intimità che ha incominciato ad intravedere i caratteri  dell'intenzionalità piuttosto che della casualità.
Infatti, attraverso il contatto visivo e la vicinanza fisica egli ha iniziato a “scrutare” l’altro da sé, uscendo dal nucleo egocentrico in cui ricadeva a causa della propria patologia.
Il lavoro esperienziale di musicoterapia con Michele è stato determinante: la creazione, il mantenimento e il rafforzamento di una relazione psico-corporea, attraverso la musica, gli ha consentito di diluire il circolo vizioso delle stereotipie.
Altro elemento da non tralasciare è quello di esternare le proprie emozioni con parole al fine di farsi comprendere, ripetendole in modo perentorio e chiaro sino a quando non veniva soddisfatta una sua richiesta.
Il mio contributo è stato quello di organizzare lo spazio sonoro per creare e stabilizzare nuovi equilibri tra ciò che esisteva e il nuovo; in questo senso esso è diventato un punto di riferimento di conoscenza per fornire una sicurezza emotiva e un’armoniosa relazione senza ostacoli e condizionamenti interni ed esterni.
In questa esperienza l’individuazione dello “spazio sonoro” è stata il risultato di momenti di sintonizzazione in cui sono avvenuti scambi sonori e/o musicali al fine di costituire una  relazione comunicativa/interattiva.
Ciò è stato reso possibile perché ho cercato nei migliori dei modi di superare un atteggiamento personale per dare la possibilità a Michele di muoversi senza idee preconcette e bisogni del terapeuta.
La proposizione di esperienze d’interazione gratificanti per il ragazzo ha avvalorato l’aspetto qualitativo e ha favorito le condizioni per poter creare in modo spontaneo comportamenti più motivati ed espressivi.
La regolarità nella frequenza di Michele agli incontri, precisi tempi prefissati  e   la  costanza  nell’effettuazione delle sedute hanno assicurato stabilità e continuità e garantito solidità: durata nel tempo e orientamento.    
L’acquisizione di un’etica professionale mi ha garantito esclusività e riservatezza.
Nel delineare le prospettive future del presente lavoro esperienziale di musicoterapia ho avvalorato l’ipotesi che la prosecuzione del trattamento permetterebbe al ragazzo il conseguimento di sicure modalità di ascolto maggiormente orientate  verso l’altro da sé, di vivere la propria affettività oltre i confini familiari per diventare un mezzo privilegiato di sviluppo della sfera affettiva.
I genitori e i componenti della famiglia hanno acconsentito di proseguire perché questa esperienza l’hanno ritenuta valida per il ragazzo che l’ha riconosciuta come un momento in cui ritagliarsi uno spazio appartato e riservato in cui potesse esprimersi.
È stata una preziosa esperienza perché si è creata una relazione tra me e Michele ed è stata positiva per la mia formazione e crescita personale. Attraverso i continui confronti con l’insegnante di sostegno e la psicologa, si è potuto effettuare un monitoraggio attento volto alla modifica e al miglioramento di modalità d’intervento anche nell’ambito scolastico. Gli incontri mensili con la famiglia del ragazzo hanno permesso un coinvolgimento più responsabile dei genitori, che  inizialmente erano restii a collaborare, impedendo per quanto possibile che le resistenze inconsce al trattamento potessero, qualora agite, porre fine o semplicemente intralciare le attività. La conclusione di questo percorso terapeutico mi ha portato a considerare come la musica ricalca multisensorialmente il mondo interno ed esterno di ogni persona in maniera tale da acquisire una completa conoscenza del suo modo di essere aldilà del linguaggio verbale. La musica ha costituito per Michele un autentico strumento per avviare una relazione in cui venisse resa manifesta la presenza dell'altro: questo aspetto si collega a una costruzione a un riconoscimento di uno spazio musicoterapico nel quale sono presenti gli elementi legati all’ambiente,  a uno strumentario e alla relazione. La “musica di per sé” e la musica come terapia rientrano nel vasto patrimonio culturale del servizio, di cura della persona, di sviluppo di una comunicazione non verbale che favorisce il potenziamento di possibilità espressive e la realizzazione di un precorso relazionale dove emergono i processi interni della comunicazione.
 
Maria Carmela Panebianco
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