Greco Marina, L’accoglienza come forma d’ascolto evoluta e privilegiata delle... emozioni

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L’idea di proporre questa riflessione sull’ascolto nasce in seguito al percorso di formazione e di crescita da me compiuto in questi ultimi anni. Ho scelto di frequentare la “Scuola di Assisi” al termine del mio percorso di studi universitari e musicali. Perché proprio una scuola di musicoterapia? Sia i miei studi filosofici universitari sia gli studi pianistici erano caratterizzati da una impronta decisamente umanistica e così ho pensato che solo una scuola di questo tipo, che si pone come finalità il raggiungimento in concreto del benessere dell’Uomo, mi avrebbe consentito di coniugare gli studi universitari e musicali e di utilizzare diversamente le mie conoscenze, rimaste fino ad allora chiuse in ambito accademico. Ho, dunque, iniziato questo nuovo percorso di studi che mi ha consentito, per la prima volta, di entrare maggiormente in contatto con me stessa e di cominciare ad ascoltarmi. Ho cominciato fin da subito a scoprire il “potere” dell’ascolto e di quanto fosse importante porsi in ascolto di se stessi prima di porsi in ascolto degli altri[1]. La frequenza dei laboratori è stata decisiva per comprendere questo: solo se sarò stata capace di comprendere le mie esigenze per essere in una condizione di benessere, potrò ascoltare le esigenze dellaltro, farlo sentire a suo agio, in una parola accoglierlo, e aiutarlo a conseguire, per quanto possibile in relazione alla sua condizione, uno stato di benessere.[2] Ho compreso via via che osservare non è solo guardare cosa l’altro fa e ascoltare le sonorità che produce. La relazione si basa su qualcosa di più profondo, che va al di là di ciò che io guardo, ascolto e mi arriva attraverso i canali conosciuti della comunicazione. Essa si basa sulla capacità di accogliere l’esserci dell’altro e di ascoltare soprattutto ciò che non dice. Ho deciso di iniziare il tirocinio fin dal secondo anno in diverse strutture e durante questa fase della formazione ho concentrato la mia attenzione e la mia riflessione proprio sull’aspetto dell'ascolto e dell’accoglienza dell’altro. Parallelamente agli studi di musicoterapia ho vinto il concorso a cattedra come docente di lettere nella scuola secondaria di primo grado e ho iniziato ad insegnare ai preadolescenti. Età difficile e critica quella della preadolescenza. Mi sono messa in discussione e ho compreso quanto, anche in questo tipo di relazione, fosse determinante predisporsi all’ascolto-accoglienza per una buona riuscita del rapporto con i ragazzi. La mia riflessione su questo aspetto riceveva, dunque, nuovi stimoli dalla mia professione di docente. Osservando i ragazzi e le loro modalità relazionali ho capito, infatti, quanto nella nostra epoca e nella nostra società sia intervenuta una progressiva atrofia della capacità di ascoltare che probabilmente è la causa principale del dilagante deterioramento dei rapporti interpersonali. La constatazione dell’atrofizzazione dell’ascolto nella nostra società, in nome dell’immagine (per cui accade che l’essere finisca per coincidere con l’apparire), ha fatto sorgere in me una domanda: “come è possibile tutto questo, proprio nella cultura occidentale che affonda le sue radici nella tradizione filosofica greca, per la quale (soprattutto nella maieutica socratica) la ricerca della verità presuppone il dialogo che presuppone a sua volta l’ascolto?” E inoltre mi sono chiesta: “non è forse l’ascolto la radice della nostra esperienza sensoriale nella vita intrauterina? E allora come mai nella nostra società siamo soffocati dalle immagini e sommersi da parole che non dicono nulla e che nessuno ascolta? Forse a nessuno interessa più, ormai, la ricerca della verità? O forse si ha paura di porsi in ascolto di se stessi e conoscere la verità del proprio Sé?” In questo lavoro intendo proporre, dunque, una riflessione sulla natura e sul significato dell’ascolto, focalizzando l’attenzione sull'aspetto relazionale. Dopo un excursus storico-filosofico sulla dimensione dell’ascolto e della visione nell’evoluzione del pensiero occidentale, passando per la psicoterapia e la psicanalisi (con la svolta determinante di Freud), e in particolare instaurando un parallelismo fra dialogo orale nella psicanalisi e dialogo sonoro nella musicoterapia, intendo valorizzare il carattere sintetico dell’approccio musicoterapico che mira alla confluenza di tutti i canali percettivo-sensoriali nella relazione dialogica musicoterapista-persona (superando il predominio della dimensione visiva), giungendo alla conclusione che in tal modo si riesce a sublimare l’ascolto nella piena accoglienza dell’altro.
 
 
Marina Greco
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[1]Bonardi G., Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU) 2007, p. 17: “Il primo altro che incontro, in questo ascolto, sono io: me stesso. È evidente che, per ascoltare l'altro, devo imparare ad ascoltare me stesso”.
[2]Giordani B., Si può imparare ad ascoltare?, in AA.VV., L’ascolto che guarisce, Cittadella Editrice, Assisi 1995 (II ed.), p. 70.